«I’ll be your mirror / Reflect what you are, in case you don’t know» cantavano i Velvet Underground. La promessa è quella di una soggettività neutra su cui ciascuno possa appiccicare il proprio vissuto, un sé compatibile con tutto purché mai a se stessi. E il volto della Orange Marilyn di Andy Warhol, zoomato e fuori fuoco, sulla copertina di Desiderio di Angela Vettese, della serie Icone. Pensare per immagini per il Mulino (pp.141, euro 12), sembra sussurrare la stessa promessa.

TRASFORMATA in macchie di colore dai contorni sfuggenti che, in una sintesi estrema, segnano soltanto bocca occhi capelli e narici, Marilyn lievemente di tre quarti, è l’immagine di un desiderio figlio del feticismo delle merci. Disponibile in tutti i colori e replicabile all’infinito, è prodotto quotidiano e idolo irraggiungibile.

La fotografia, scattata da Gene Korman per promuovere Niagara, elaborata secondo il metodo serigrafico, restituisce l’ambivalenza dell’unicità del volto, centrato sullo sfondo, e universale nel suo essere moltiplicabile in forma di immagini sintetiche, ridotte a strati di colore alterati, e sovrapposti su piani sfasati. Lo sfondo arancione scioglie ogni contesto possibile, rendendo il viso di Marilyn pura astrazione circonfusa di sacralità. E rovesciando in un adesso infinito la sua eternità.

Lo sguardo in macchina è cieco sotto le grandi palpebre blu appesantite da un piacere inappagabile, e narcotico per chi ne viene catturato. Il sorriso, con un’ombra di sdegno sull’angolo destro, svela i denti e, paralizzato in una smorfia che non sa se schiudersi o ritrarsi, comunica aggressività e timore, attrazione e repulsione. La chioma da angelo asessuato, che ricorda certi angeli di Pasolini, posticci e beffardi, tradiscono, sotto uno strato spesso di puritanesimo, una queerness plasticosa.

Come una Madonna laica e perturbante reintegrata di una sessualità tradizionalmente negatale, il volto di Marilyn è forse l’unica immagine del desiderio, capace di non dissolversi nell’incessante flusso di immagini nell’era dell’always on.

È UNO SGUARDO che implora un contatto, ma resta assente, anestetizzato, con il languore della santa Teresa di Bernini e la fissità di una Madonna bizantina dimentica di ogni promessa di salvezza. È un erotismo ambiguo quello di Marilyn, la cui estetica segna il passaggio dalla donna morbida e remissiva, all’androgina, forte e volitiva.

In un percorso che mette progressivamente a fuoco l’opera di Warhol, Vettese ne fa una narrazione che la eleva a immagine assoluta del desiderio, un desiderio dialettico, che tende continuamente al godimento, cercato ma sempre frustrato, mai sciolto in un orgasmo.

Desiderante e desiderato il volto di Marilyn nel libro di Vettese incrocia lo sguardo dell’Olympia, della Venere di Urbino, di Greta Garbo e Mae West, di Claude Cahun e della Madonna di Medjugorje, in un’analisi preziosa di un’icona che continua a rifuggire il nostro sguardo e dispettosa pare dire: «When I’m good I’m very good but when I’m bad, I’m better».