Non solo l’ostilità della palla ovale e a spicchi. Ora anche il baseball scende in campo contro Donald Trump. Sean Doolittle, uno degli elementi di punta dei Washington Nationals (Major League Baseball) ha deciso nei giorni scorsi di evitare la partecipazione alla sfilata riservata alla squadra campione d’America alla Casa Bianca, una delle leggi non scritte dello sport a stelle e strisce, spesso non osservata anche dalle squadre che hanno vinto il titolo nazionale nel football e nel basket da quando The Donald risiede nella casa presidenziale. «Non riesco proprio a farlo», ha detto Doolittle al «Washington Post».

LA SUA DISTANZA dalla retorica divisiva di Trump era nota, in particolare a causa delle dichiarazioni del presidente americano sulla tragedia di due anni fa a Charlottesville, in cui un suprematista bianco si lanciò con la macchina sulla folla, uccidendo Heather Heyer e ferendo 19 manifestanti che partecipavano a un corteo antirazzista. In quella circostanza infatti Trump non condannò razzisti e suprematisti. Il giocatore dei Nationals non l’ha perdonato, convinto che la posizione di Trump avesse rafforzato il clima di intolleranza nel Paese, presente soprattutto negli stati del sud come la Virginia. Così come si è pubblicamente detto contro l’atteggiamento discriminatorio di Trump verso la comunità Lgbt (il giocatore ha parenti impegnati nella tutela dei diritti omosessuali), le battute del presidente sull’autismo, oppure la derisione di un giornalista disabile del «New York Post», avvenuta nel 2015. Una serie di comportamenti che hanno tenuto Doolittle lontano dalla White House.

UN SEGNALE forte per Trump, in tempo di possibile impeachment, che potrebbe portare lo sport americano a voltargli definitivamente le spalle a un anno dalla corsa al secondo mandato presidenziale. Sinora la Mlb, ritenuta universalmente lo sport dei bianchi negli Stati Uniti e con una fanbase di fede repubblicana, si era tenuta in disparte mentre Colin Kaepernick si inginocchiava sui campi da football della Nfl (pagando il suo gesto con l’inattività da tre anni)durante l’inno nazionale, per protestare contro la violenza della polizia nei confronti della comunità afroamericana. E c’era stato silenzio anche quando tre anni fa – con i Cleveland Cavaliers campioni Nba – Lebron James decise di disertare la Casa Bianca.

Allo stesso modo nelle stagioni successive i Golden State Warriors s i sono rifiutati di fare passerella con il presidente. Insomma, inizia il percorso di ribellione contro i periodici rigurgiti di intolleranza di Trump anche tra mazze e berretti. Tanti fischi e cori critici nei confronti del presidente ci sono stati anche a Houston, in occasione della gara a 5 delle World Series (le finali nazionali) tra i Nationals e gli Astros. L’ostilità del baseball potrebbe costare tanti voti al presidente nella corsa alla riconferma (il baseball resta lo sport più popolare negli Stati Uniti) nel centesimo anniversario della nascita di Jackie Robinson: una leggenda, il primo atleta nero nella lega del baseball. Un colpo alla barriera razziale, ancora troppo solida in America.