L’amico iracondo, quello troppo spericolato e quello vecchia maniera, un po’ bacchettone. La ragazza durissima, inespugnabile, che però si innamora del «mostro». Una specie di fratello maggiore, biondo e bellissimo, che fa cadere le cose dall’alto e ha giocattoli che gli altri non sanno usare. Due gemelli inseparabili e molto disturbati…….I supereroi Marvel secondo Joss Whedon, in Avengers: Age of Ultron, sono accessibili, riconoscibili, famigliari, come i personaggi di una sitcom. Una sitcom da alcune centinaia di milioni di dollari e con un numero di effetti speciali (oltre 3.000 inquadrature, contro le 2.500 di Captain America: The Winter Soldier e le 2.750 di I guardiani della galassia) superiore a qualsiasi film Marvel mai realizzato.

Nella visione dell’inventore di Buffy l’ammazzavampiri, la sci-fi hollywoodiana creata dal potentissimo binomio tra Disney e Marvel, non ha l’esistenzialismo tragico degli X-Men di Brian Singer, le genialità degli Spider Man di Raimi e nemmeno (passando alla competizione di Marvel, DC Comics) la grandiosa malinconia toddbrowninghiana dei Batman di Tim Burton o il tetro gigantismo di quelli di Nolan: non meno autoriale di quelle sopracitate, la dimensione dei film fumetto di Whedon è , però, quella che più si avvicina allo spirito spensierato dei vecchi cliffhangers degli anni trenta, alla loro vocazione seriale, avventurosa.

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Il che fa di questo cinquantenne newyorkese, amante dei Monthy Pyton, ideatore del successo online Dr. Horrible’s Sing Along Blog e che aveva messo le mani anche alle sceneggiature di Alien: Resurrection, Toy Story e Titan A.E., il candidato ideale per trasformare in un blockbuster estivo (il secondo ad arrivare in sala quest’anno, dopo Fast and Furious 7) il complesso intrigo di storie, mitologie e personaggi che sta dietro all’idea stessa degli Avengers, e cioè quella di un gruppo di supereroi –con storie e franchise diverse e autonome tra di loro- che si riuniscono periodicamente per salvare il mondo.

L’inizio di questo capitolo 2 delle loro avventure (altrettanti sono già in cantiere, per il 2018 e il 1019, affidati a registi diversi) evoca più James Bond che il classico salottino di una situation comedy. Dopo lo spettacolare finale di The Avengers (regia di Whedon, 2012), ambientato nel cuore della Midtown di New York, tra Park Avenue e la Grand Central Station, ritroviamo i nostri eroi già in piena azione, impegnati nell’assedio a una fortezza che sovrasta un bosco. Assorbita la lezione di Raimi (che combinando CGI e location reali, ha fatto di New York uno dei personaggi di Spider Man), dopo Manhattan, Whedon è ricorso alle bellezze della Valle D’Aosta –il forte di Bard, squarci di Verres, Pont Saint Martin e una piazza del capoluogo. Sullo sfondo di questo «vecchio mondo» in pericolo, simboleggiato alla fine del film da un’intera città che si stacca in volo dalla calotta terrestre sui cui minaccia di ricadere con risultati apocalittici, la trama ruota intorno a Ultron, un’intelligenza artificiale dotata di autocoscienza che il mercante di armi/playboy/Iron Man- Tony Stark (Robert Downey Jr.) intende trasformare in uno strumento di peacekeeping globale con cui sostituire gli stessi Avengers. Ma Ultron non si lascia addomesticare così facilmente: dopo aver dedotto che il nemico peggiore della razza umana è…… l’uomo stesso, decide di eliminare il problema distruggendo la Terra.

Thor (Chris Hemsworth), Bruce Banner/Hulk (Mark Ruffalo, nella resa più riuscita del gigante verde dopo quelle tremende firmate da Ang Lee e da Louis Laterrier), Steve Rogers/ Capitan America (Chris Evans), Natasha Romanoff / Black Widow (Scarlett Johansson), Clint Barton/Hawkeye (Jeremy Renner) e Nick Fury (Samuel Jackson) devono fermarlo. Tra i loro avversari, oltre e Ultron al fabbro/fabbricante d’armi Ulysses Klaue (Andy Serkis) e al fratello cattivo di Thor, Loki (Tom Hiddleston), sono anche Pietro e Wanda Maximoff, alias Quicksilver e Scarlet Witch (Aaron Taylor Johnson e Elizabeth Olsen).

Come da nome, lui è velocissimo, mentre lei possiede poteri paranormali che complicano ancor di più i rapporti già non sempre facili tra Avengers. Incarnato dal gesto maldestro e prometeico di Stark, e inscenato attraverso una serie di battaglie lunghe e ipercomplicate, il nodo filosofico del film lavora sulla vocazione umana all’autodistruzione. Ma Whedon si concede dei detour – per un bel flirt tra Romanoff e Banner/Hulk e una scampagnata a nord di New York, dove si scopre che l’arciere Hawkeye ha una famiglia perfettamente normale che lo aspetta, in una fattoria di legno bianco. Come già nella magnifica intuizione dietro a Buffy l’ammazzavampiri, l’universo fantastico di Whedon prevede che la linea tra supereroi, o mostri, e ragazzi qualsiasi sia molto sottile –spesso una proiezione di se stessi, di un dolore, di una paura. Il che fa di lui non solo uno dei più fluidi e meno monumentali ma anche il più democratico dei registi di supereroi d’azione, creature che, dall’iperstratosfera del blockbuster hollywoodiano –in un revival degli anni gloriosi dei cliffhanger cui Avengers: Age of Ultron rende omaggio- oggi hanno infiltrato anche i piccoli schermi, con serie come Gotham (Fox) e Daredevil, appena partita su Netflix.