The Last of Us brilla di una sua accecante e illuminante luce oscura che si deve al genio degli sviluppatori di Naughty Dog, autori delle indimenticabili avventure di Nathan Drake, protagonista della trilogia di Uncharted. Abbiamo incontrato e intervistato Ricky Cambier, game designer della software house californiana.

Come avete scoperto l’esistenza dell’inquietate fungo Cordyceps?

Compariva in una puntata di Planet Earth, una serie di documentari narrati da David Attenborough. E’ una serie stupefacente perché ci fa scoprire cose incredibili che esistono davvero da qualche parte nel nostro pianeta. Così abbiamo visto questo fungo Cordyceps che attacca diverse specie di insetti. Prende il controllo degli insetti e li fa muovere, cresce sulla loro testa prosperando nel cervello in maniera orribile. Ci siamo chiesti cosa succederebbe se attaccasse gli esseri umani? E’ stato un punto di partenza molto interessante, inoltre volevamo che il nostro gioco fosse ancorato alla realtà e il fatto che questo fungo esistesse davvero contribuisce ad alimentare il verismo di The Last of Us. I giocatori si dicono: questo potrebbe succedere davvero.

Come avete combinato l’elemento naturale, così potente nel gioco, a quello architettonico delle città post-catastrofe?

Abbiamo usato alcune metropoli degli Stati Uniti affinchè risultassero familiari, luoghi conosciuti e riconoscibili. Poi abbiamo iniziato a trattare la natura come se fosse un vero e proprio personaggio. Per esempio prendiamo in considerazione un edificio: prima viene invaso da cespugli, e altra vegetazione, poi l’acqua invade le sue fondamenta, così che dopo qualche anno questo inizia a crollare. Quando esploriamo questo edificio lo osserviamo raccontare una storia su quello che gli è successo e ci accorgiamo da dove è penetrata l’acqua, così quando usciamo, realizziamo che le strade sono allagate e formano un lago, dove una volta la gente camminava e i veicoli circolavano. Scopriamo della bellezza in questo. Sperimentare questa scoperta insieme ai personaggi del gioco alimenta una forte empatia e identificazione tra il giocatore e coloro che controlla.

Mi ha meravigliato la bellezza e il realismo della pioggia durante la scena notturna ambientata a Boston.

Il nostro team è composto da persone di talento che cercano di sfruttare a pieno la potenza della Playstation 3 e del nostro motore grafico. Vogliamo che l’ambiente che circonda i personaggi li avvolga e contribuisca in maniera determinante all’atmosfera del gioco. Quella è una scena molto importante: siamo all’inizio del videogame e ci stiamo allontanando per la prima volta dalla zona di quarantena; è buio e piove, non sappiamo cosa aspettarci e si respira una forte insicurezza. E’ fondamentale che l’ambiente rispecchi e contribuisca ad alimentare l’umore e le emozioni dei personaggi e di chi gioca. La pioggia è uno dei tanti tasselli che servono a costruire l’intera scena.

Qual è il gioco di sopravvivenza che considerate più interessante e che più vi ha ispirato durante la lavorazione di The Last of Us?

Dobbiamo andare indietro nel tempo, fino a Ico. Era un grandissimo gioco che consentiva al giocatore di sperimentare una crescita nelle relazioni tra i personaggi che andava ad influire anche sulla giocabilità. Durante lo svolgimento di Ico il legame tra i due personaggi diventa sempre più forte, quindi ci ha ispirato molto nel raccontare la storia di Joel e Ellie. Malgrado siano trascorsi tanti anni Ico è una pietra miliare per ciò che riguarda la costruzione di una relazione in un gioco. Più recentemente c’è The Walking Dead, in cui è stato svolto un lavoro eccezionale per farvi investire i propri sentimenti a chi lo gioca. Racconta una grande storia.

The Last of Us condivide con The Walking Dead il senso di disperazione, di dolore e di tragedia sempre imminente?

E’ un mondo disperato e oscuro. Ma sarà possibile scoprirvi anche rari momenti più luminosi e leggeri.