Il segretario alla Difesa Mark Esper, contraddicendo direttamente Donald Trump, ha dichiarato di non avere mai visto prove specifiche riguardo il possibile e imminente attacco dell’Iran contro quattro ambasciate degli Stati uniti.

Da 10 giorni Trump e la sua squadra faticano a descrivere le ragioni alla base della decisione di uccidere il generale iraniano Qassem Suleimani. Le spiegazioni pubbliche sono cambiate di giorno in giorno, di ora in ora. L’ultima svolta l’ha segnata Esper affermando di non aver mai visto le prove del progetto terroristico che ha causato la reazione americana, portando le due nazioni sull’orlo di una guerra.

«Non ho visto una prova riguardo le quattro ambasciate – ha detto Esper durante la trasmissione Face the Nation dell’emittente tv Cbs – Ma condivido l’opinione del presidente che probabilmente sarebbero andati contro le nostre ambasciate. Le ambasciate sono la manifestazione più importante della presenza americana in un Paese». Non prove, insomma, ma senso comune: se avessero dovuto attaccare avrebbero attaccato le ambasciate.

La forte disparità di dichiarazioni tra il presidente e il suo segretario alla Difesa non fa che aumentare il dibattito pubblico riguardo l’attacco Usa del 3 gennaio. Pur concordando sul fatto che Suleimani costituisse in genere una minaccia, i democratici al Congresso, come alcuni repubblicani, hanno affermato che l’amministrazione non ha fornito prove sufficienti, né pubbliche né riservate, a sostegno dell’ipotesi di un attacco «imminente».

Persino alcuni funzionari del Pentagono hanno dichiarato privatamente di non essere a conoscenza di alcuna informazione dell’intelligence che suggerisse la preparazione di un attacco su larga scala.

Trump non sembra notare questo avvicendarsi di versioni che riguardano l’attacco all’Iran da lui ordinato e sembra più concentrato sui suoi possibili rivali per le presidenziali, in special modo su Bernie Sanders.

Con una mossa inusuale (il presidente in carica solitamente non si intromette nelle primarie del partito opposto) Trump, notando i risultati positivi dei sondaggi per Sanders, ha twittato: «Wow! Il pazzo Bernie Sanders ha un’impennata nei sondaggi, sembra cosa buona contro i suoi avversari nel ‘partito che non fa niente’. Cosa significa tutto questo?». La risposta di Sanders è arrivata poco dopo e sempre tramite Twitter: «Significa che perderai».

Intanto il campo dei possibili rivali di Trump si va riducendo: l’ultimo a ritirarsi è stato il senatore afroamericano del New Jersey, Corey Booker che ha sospeso la campagna presidenziale dicendo di non vedere più una strada per la vittoria a causa della mancanza di fondi. Lo ha annunciato con un post su Medium.

L’uscita di Booker arriva il giorno prima del dibattito che si terrà oggi in Iowa per il quale non si era qualificato non avendo raggiunto la soglia minima dei sondaggi. Booker si presenterà, invece, per la rielezione come senatore del New Jersey.

Famoso per il suo stile oratorio articolato che enfatizza l’unità e molto amato nel suo Stato, unico senatore a vivere da anni nelle case popolari di Newark, complicata città di cui era sindaco prima di diventare senatore, nonostante avesse un numero significativo di endorsement, Booker si è come impantanato nei sondaggi. Il suo picco è stato il 5%.

Per non smentirsi Trump ha deriso su Twitter l’uscita di Booker: «Davvero una grossa Breaking News (Scherzo) – ha scritto Trump – Booker, che si trovava in un territorio di sondaggi a zero, è appena uscito dalla corsa per le primarie democratiche. Adesso potrò riposare facilmente stanotte. Ero così preoccupato di dover fare un giorno un testa a testa con lui!».