Puntuale ieri sera è arrivato il ricatto, che ormai sembra essere diventato la forma preferita di comunicazione del governo giallo verde. «Se domani (oggi, ndr) non esce nulla sulla Diciotti e sulla redistribuzione dei migranti io e il M5S non saremo disposti a dare più 20 miliardi di euro di contributi all’Unione europea», scrive su Facebook Luigi Di Maio allineandosi a Matteo Salvini. La scadenza a cui il vicepremier grillino si riferisce è la riunione che questa mattina a Bruxelles vedrà gli sherpa di dodici paesi scervellarsi alla ricerca di una soluzione definitiva agli sbarchi dei migranti, cosa che metterebbe fine anche all’odissea della nave della Guarda costiera bloccata a Catania. Riunione che si annuncia tutta in salita, sia perché nessuno ha davvero intenzione di prendersi una quota di profughi, sia per il malumore diffuso ormai in Europa per il comportamento giudicato «ricattatorio» di Roma. E l’ultimatum di Di Maio, oltre a non migliorare il clima, di sicuro ostacola il lavoro certosino con cui da giorni il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi sta cercando di convincere gli alleati europei a mostrarsi ancora una volta solidali con l’Italia.

Almeno in apparenza il governo sembra quindi procedere compatto nella guerra all’Europa dichiarata dal ministro degli Interni, che infatti ieri sera ha apprezzato pubblicamente le parole del collega. A muovere il capo politico dei 5 Stelle non è però solo la convinzione che con Bruxelles più della «linea morbida» funzioni la «linea dura», per usare le sue parole. E neanche il bisogno di recuperare un minimo di visibilità, bensì il timore che il braccio di ferro intrapreso da Salvini contro tutto e tutti (arrivando perfino a minacciare le dimissioni se qualcuno dovesse imporgli lo sbarco dei migranti della Diciotti) serva in realtà al leghista solo per aprire una crisi di governo e arrivare a elezioni facendo il pieno di voti. A scapito dello stesso M5S.

Seppure per motivi differenti, è lo stesso sospetto che in questi giorni preoccupa il Quirinale. La telefonata fatta mercoledì al premier Conte potrebbe essere l’ultimo intervento sul «caso Diciotti» del presidente Mattarella, deciso a non offrire pretesti al leader leghista. L’ipotesi di una crisi di governo – con la possibilità che Salvini ne scarichi la responsabilità sul Colle – e una successiva campagna elettorale tutta impostata contro l’Europa con la finanziaria aperta rappresentano lo scenario peggiore per il presidente, tanto da spingerlo a preferire la linea del non intervento. Almeno fino a quando sarà possibile.

Sì perché Salvini sembra fare di tutto per cercare lo scontro. Minaccia le dimissioni, dice di non proccuparsi si un eventuale intervento del Colle perché «ho al coscienza a posto». E sfida i magistrati di Agrigento che hanno aperto un’inchiesta sulla nave Diciotti nella quale si ipotizza il reato di sequestro di persona a processarlo. Per finire elogiando il modello australiano di trattamento dei migranti sintetizzato nello slogan «No way» e che prevede che nessuno neanche i bambini, possa mettere piede in Australia. Una sfida a tutto campo in cui il leghista sa bene che i questo momento puntare i piedi a attaccare l’Unione europea può solo far crescere i consensi.

A questo unto bisogna solo vedere cosa decide di fare Bruxelles. L’ipotesi di una soluzione definitiva ai porti di sbarco se non illusoria è quanto meno molto difficile. E non è detto poi che si voglia davvero trovare. Ungheria, Polonia, repubblica ceca e Slovacchia, i paesi alleati di Salvini che formano il gruppo di Visegrad, alla riunione di oggi neanche si faranno vedere. Sondata nei giorni scorsi, la Svezia avrebbe già detto di no alla possibilità di prendere una parte dei 150 migranti bloccati a Catania. Restano gli altri, sui quali però pesa sia l’irritazione per il comportamento del governo italiano, sia la stanchezza di dover essere gli unici a intervenire (anche se poi non mantengono gli impegni presi come è successo con i migranti sbarcati a Pozzallo). «La solidarietà non può essere una strada a auna sola corsia», ha spiegato ieri un portavoce del governo tedesco lasciando capire ben che aria tiri.

Almeno su un punto si sa già da adesso che Salvini non la spunterà. Le regole della missione europea Sophia, che prevedono lo sbarco in Italia dei migranti, non verranno cambiate entro il 30 agosto come richiesto invece dall’Italia. La decisione è stata presa ieri a Bruxelles al termine della riunione del Comitato politico e di sicurezza (Cops). Spagna Francia, Germania, Irlanda, Olanda e Portogallo hanno chiesto di rinviare tutto a dicembre, quando la missione Sophia arriverà alla scadenza prevista. La discussione riprenderà comunque il 28 agosto per essere poi affrontata al vertice informale dei ministri degli Esteri e della Difesa che si terrà dal 28 al 30 a Vienna.