Insieme al pm Giuseppe Cascini e ai giudici Alessandra Dal Moro e Mario Suriano, il barese Giovanni «Ciccio» Zaccaro rappresenterà il gruppo progressista Area nel nuovo Csm. Con 671 preferenze è stato il terzo più votato nella quota riservata alle toghe con funzione giudicante, alle spalle del centrista Mancinetti (Unicost) e della conservatrice Braggion (Magistratura indipendente).

Dottor Zaccaro, dai 7 eletti nel 2014 siete passati a 4: l’arretramento di Area è evidente.
Sapevamo che era una partita difficile, il risultato spiace ma purtroppo non sorprende. Nel contesto politico nazionale le forze democratiche e progressiste sono in arretramento, e la magistratura non fa eccezione. Poi dobbiamo considerare che la legge elettorale del Csm rende possibile una sorta di voto disgiunto, e indubbiamente una parte di magistrati che si considerano progressisti nella quota Cassazione ha scelto Piercamillo Davigo e non la nostra Rita Sanlorenzo, un’ottima collega che ha innalzato molto il livello della discussione: a noi il compito di capire perché.

Lei ha un’ipotesi?
Il sistema di voto in vigore dal 2002, che a me non piace, è costruito per premiare le personalità, non le idee dei gruppi o i programmi. E questo vale in particolare per il consenso elettorale di un magistrato di Cassazione, che si crea in modo molto diverso da quello di chi lavora in una procura o un tribunale. Davigo ha da quasi 30 anni una notorietà tale che gli ha permesso di conquistare consensi non solo a scapito della nostra candidata, ma anche di quello di Unicost, rimasto anch’egli fuori. Ma c’è anche un altro elemento importante.

Quale?
Esiste un Davigo che parla di processo penale, di diritti e garanzie in modo «reazionario», e contemporaneamente esiste un Davigo impegnato sul fronte dell’autogoverno dei magistrati. I colleghi progressisti hanno votato il secondo, non il primo, perché in ballo non c’era una scelta fra garantismo o giustizialismo, ma l’indirizzo del prossimo Csm. Non a caso, nella quota riservata ai pm il candidato della stessa corrente di Davigo, Sebastiano Ardita, è arrivato ultimo. Se fosse vero che c’è stata una generalizzata svolta a destra, una svolta antigarantista, sarebbe stato premiato anche Ardita. Detto questo, non voglio certo sminuire il problema che ha di fronte Area: rimetterci in connessione con quella parte di magistrati che si sentono democratici e progressisti ma decidono di premiare Davigo come voto di protesta verso il passato, affascinati dal suo linguaggio schietto e consolati da risposte semplici ai problemi complessi dell’organizzazione della giustizia. Comunque è una discussione che, come Area, svolgeremo collettivamente nei nostri organismi, ai quali non voglio certo sostituirmi.

Come spiega invece il successo della corrente di destra Magistratura indipendente (Mi)? La scissione di Davigo sembra non averle fatto male.
Tutti i candidati di Mi hanno fatto una campagna molto intensa sapendo cogliere i bisogni dei singoli magistrati sulle condizioni di lavoro e i carichi eccessivi. Mi è da anni che batte su questo tasto, mentre noi ce ne siamo forse accorti con troppo ritardo. Per questo forse le nostre soluzioni, che ovviamente io ritengo più valide, sono state ritenute meno credibili. La vera sfida ora è offrire soluzioni efficaci al problema dei carichi eccessivi di lavoro che coniughino i diritti dei cittadini e la sostenibilità del lavoro giudiziario. Occuparsi dei carichi di lavoro dei magistrati non può essere considerato «di destra».

Come vede quindi il vostro ruolo nel prossimo Csm? Sarete «all’opposizione»?
Questi schemi non valgono a priori. Io spero che il contributo di tutti possa portare il Csm ad esercitare appieno il ruolo previsto dalla Costituzione. Davigo dovrà dimostrare di saper passare dalla protesta all’esercizio delle responsabilità. E voglio avere fiducia e confido che il parlamento sappia eleggere membri laici di altro profilo, con una caratura istituzionale e soprattutto che esercitino il loro mandato dimostrando indipendenza dai partiti che li avranno proposti.