«Nessun ministro della Lega firmerà per bloccare la Tav. Vedremo tra me e Di Maio chi ha la testa più dura. Conto di continuare a fare il ministro con questa formazione, a meno che i no non diventino troppi»». E’ la risposta implicita di Matteo Salvini alla conferenza stampa tenuta dal premier qualche ora prima a palazzo Chigi. Fosse per lui Giuseppe Conte bloccherebbe i lavori della Tav, con revoca immediata dei bandi. Nell’incontro con i giornalisti convocato per fare il punto sul livello dell’incendio che minaccia di ridurre il cenere il suo governo, il presidente del consiglio lo dice chiaramente: «L’analisi costi-benefici è plausibile e fondata. Non sono convinto che questo progetto sia quello di cui l’Italia ha bisogno».

 

SEGUE DISAMINA puntigliosa dei limiti dell’opera ed è identica a quella che illustrerebbe un convinto militante no Tav. La conseguenza logica sarebbe fermare un’opera che lui stesso considera poco utile e dannosa, con tanto di revoca dei bandi che la società italo-francese Telt intende lanciare lunedì. Però non si può fare perché le «distanze politiche» tra Lega e M5S determinano una paralisi che si estende anche alla posizione del governo sui bandi: «Siamo allo stallo anche su questo. Dateci tempo, fino a lunedì c’è tempo». Tempo per cosa? «Per procedere a un’interlocuzione con i partner di questo progetto, Francia e Ue». Insomma serve tempo per provare a prendere tempo, per chiedere di rimettere in discussione con i partner l’intero progetto, in particolare le quote del finanziamento che penalizzano l’Italia. Poi si vedrà.

Quando si rivolge ai giornalisti e al Paese Conte ha già incrociato in mattinata l’ambasciatore francese, anche se giura che non si è parlato di Tav, e nel pomeriggio il dg di Telt Mario Virano. Non ha trovato una sponda per «condividere dubbi e perplessità» con la Francia. «Confido che gli italiani rispettino gli impegni», insiste anzi la ministra francese Borne. Non saranno Francia e Ue a salvare il governo italiano.

Lo schieramento del premier contro la Tav è accolto da un diluvio di commenti. Di Maio lo ringrazia «per il senso di responsabilità». Tutte le altre forze politiche lo attaccano ad alzo zero.

Per ore c’è un solo partito trincerato in un gelido silenzio: la Lega. Per tutta la giornata, dopo il vertice fallimentare della notte precedente a palazzo Chigi, Salvini era stato quanto mai laconico e tuttavia non reticente: «Preferisco spendere altri soldi per finire quel buco sotto la montagna che per tornare a riempirlo». I leghisti sono furibondi. Non si aspettavano un simile sbilanciamento da parte del premier. Ritengono che Di Maio sia condizionato dal ricatto dei consiglieri comunali torinesi, che minacciano di far cadere la giunta Appendino, e dei senatori no Tav, che mettono a rischio la maggioranza a palazzo Madama. Ma la Lega non molla. Non potrebbe neppure se volesse: la pressione delle regioni del nord, inclusa la Lombardia leghista, è infatti martellante. A sera la Lega, prima dell’intervento del leader su Rete4, lascia filtrare la sua posizione: «Rivedere e migliorare il progetto si può. Bloccarlo no».

I 5 STELLE, D’ALTRA PARTE, sembrano ormai essersi bruciati tutti i ponti alle spalle. Un episodio è sommamente indicativo: ieri al Senato si discutevano le mozioni sulla Tav. Al momento di dare il parere del governo sui testi, il sottosegretario Dell’Orco, 5S, si è detto del tutto d’accordo con l’ordine del giorno della capogruppo di LeU De Petris, la più anti Tav che ci fosse, a cui ha dato però parere contrario. Una contraddizione tanto clamorosa che la presidente Casellati si è sentita in dovere di chiedere a Dell’Orco di chiarire la linea del governo.
Sembra una situazione senza via d’uscita. Se nessun vertice è stato convocato dopo il fallimento di mercoledì notte è perché tutti sapevano che sarebbe stato inutile. Eppure una scappatoia i 5S vogliono trovarla, anche perché la maggioranza dei parlamentari, pur non potendo ammetterlo pubblicamente, non ha alcuna voglia di arrivare a una crisi per la Tav. La formula magica potrebbe essere la paroletta «parlamentarizzazione». A indicare quella via è stato proprio Di Maio, ricordando che per fermare i bandi deve esserci una delibera del governo, ma per bloccare l’opera occorre «un passaggio parlamentare». Se a promuovere la Tav fosse il Parlamento i 5S non potrebbero opporsi.

E’ UNA STRADA STRETTA. Per un passaggio parlamentare servirebbe una revoca governativa del trattato con la Francia, che il Parlamento, grazie al voto della Lega che del governo fa parte, non ratificherebbe. Surreale anche se non impossibile. Solo che comunque resterebbe in sospeso il nodo dei bandi, da sciogliere entro lunedì. E su quel punto nessuno per ora intende cedere.