Non solo Ansaldo Energia e Ansaldo Sts. Fra le aziende che Finmeccanica vuole cedere al miglior offerente c’è anche Ansaldo Breda. Che sta vivendo un periodo difficile, comprovato dai bilanci in rosso degli ultimi anni e da una serie di contenziosi per forniture contestate dagli acquirenti danesi, lombardi, e più recentemente dai belgi e, forse, dagli olandesi. Ma resta l’unica fabbrica ferroviaria italiana, seppur di piccola taglia rispetto a colossi come Bombardier, Alstom e Hitachi, in un settore che non sta soffrendo la crisi.

Nelle stime degli analisti, nei prossimi dieci anni il trasporto ferroviario mondiale salirà nei fatturati dagli attuali 45 miliardi a 52 miliardi di euro, con una crescita parallela nella movimentazione dei passeggeri. Per giunta Ansaldo Breda dà lavoro a 2.300 dipendenti diretti fra Pistoia, Napoli, Reggio Calabria e Palermo, e almeno altrettanti nell’indotto. Cinquemila famiglie in attesa, da troppo tempo, di un segnale chiaro da parte di governi che a parole difendono a spada tratta il made in Italy. Salvo poi lasciare a manager “finanziari” la gestione di comparti produttivi strategici come quello ferroviario.

Il lavoro certo non manca: proprio ieri è stata consegnata alla Regione Lazio una prima tranche di treni Vivalto targati Ansaldo Breda, commissionati dal gruppo Fs per rendere un po’ più confortevoli i quotidiani, quasi sempre disagevoli viaggi dei pendolari. E’ in dirittura d’arrivo anche l’accordo fra la Regione Toscana e il gruppo Breda per la fornitura di 120 nuove carrozze, anch’esse destinate al traffico pendolare e turistico.

Il problema è che ai vertici di Finmeccanica, nonostante la golden share del ministero del Tesoro, il trasporto su ferro non interessa affatto. Sarà anche ecologico e popolare, ma vuoi mettere le commesse militari? Il penultimo amministratore delegato Giuseppe Orsi, prima di finire in carcere per le presunte tangenti legate alla commessa indiana degli elicotteri Agusta Westland, era stato chiaro: la produzione civile non ci interessa. Il suo successore Alessandro Pansa, che del leghista Orsi era direttore finanziario, è dello stesso avviso e all’epoca lo disse esplicitamente. Ora è costretto dal suo nuovo ruolo ad essere più diplomatico. Senza fare, peraltro, neanche mezzo passo indietro.

Pansa sventola i bilanci. L’Ansaldo Breda che era leader nel mondo e aveva costruito il primo treno italiano ad alta velocità, l’Etr 500 “Pendolino”, nel giro di poche stagioni è andata in rosso costante. Fino ai 700 milioni di perdita nel 2011, e ai 326 nel 2012. Si prevede il pareggio di bilancio nel 2014. Ma intanto il primo trimestre 2013 ha segnato 24 milioni di deficit. Lavoratori e sindacati, Fiom in testa, già infuriati per la possibile vendita degli asset civili di Finmeccanica, su Breda rispondono secchi: quando un azienda cambia quattro ad in dieci anni, con il conseguente turnover dei manager di fiducia, vuol dire che i problemi sono altri. Il pesce puzza dalla testa, in questo caso quella politica.

Il pistoiese Daniele Quiriconi, numero due della Cgil Toscana ed ex segretario della sua Camera del Lavoro, tira le somme: “C’è stata mancanza di governance industriale, non ci sono stati investimenti né sui processi produttivi né sui prodotti. Anche il nuovissimo Etr 1000, che pure è una bella commessa da 50 treni superveloci per Fs, è lo sviluppo di un progetto di Bombardier, e si sta costruendo in joint venture. Per questo è necessaria una chiara scelta politica da parte del governo”. Il quale, per bocca dello stesso Enrico Letta, dopo un faccia a faccia con il collega olandese Mark Rutte per la controversa commessa del gruppo Breda per i treni della linea ad alta velocità Amsterdam-Bruxelles, pochi giorni fa ha detto testualmente: “L’Italia difende il made in Italy, e Ansaldo Breda è un gioiello del made in Italy”. Se Letta non è un bugiardo e conta qualcosa, Finmeccanica potrebbe anche restare così com’è. Staremo a vedere.