Uno dei fenomeni (musicali e non) più criticati, osteggiati, sbeffeggiati da musicisti, critici, pubblico. La trap ha coagulato intorno a sé un unanime fronte di repulsa. A partire dalla irritante essenzialità musicale, passando per il contenuto dei testi, concludendo con un aspetto estetico che difficilmente può trovare approvazione. Le coordinate che appartenevano al punk degli esordi. Ma dove il punk era in qualche modo una prosecuzione di discorsi socio culturali e artistici già affermati in precedenza (garage, glam, rock’n’roll), la trap e il suo corollario estetico, pur essendo figlio di rap e hip hop, ostentano ogni mancanza di contenuto «politico» o contro culturale. A fronte di un modo che viaggia, scientemente, verso il disastro ambientale ampiamente annunciato, preda di un capitalismo senza ormai alcun freno, in cui il mercato determina ogni singola mossa, non solo escludendo ma semplicemente annientando ogni voce dissidente, chi canta o ascolta trap, abbraccia una visione nichilista, dove il «no future» urlato provocatoriamente dai Sex Pistols nel 1977 è una realtà, un dato di fatto. Le nuove generazioni hanno in mano il mondo, hanno tutto lo scibile terracqueo a portata di click ma in realtà non possiedono nulla di tangibile, tanto meno un futuro. Lo stesso incedere ritmico della trap è il suono di un’epoca che si lascia cullare nell’abbandono ansiolitico, nell’appiattimento emotivo, nervoso, cerebrale. Contro l’ansia, l’insonnia, la paura della catastrofe, personale e globale, imminenti. E allora l’ostentazione becera della ricchezza, del lusso (spesso «inventato» e irreale), l’esaltazione della dipendenza da droghe rilassanti, sono un grido rassegnato di chi accetta l’ineluttabilità della dipendenza tecnologica, della sempre più scarsa attenzione al reale e al circostante, di una condizione sociale che ti imprigiona, fin da adolescente, in una gabbia classista da cui è impensabile pensare di uscire. Dove sei nato, rimani, nessuna possibilità di emanciparti, crescere, «diventare qualcuno».
DECADENZA
Negli anni Sessanta per uscire dalla «miseria» (non necessariamente economica) potevi fare il cantante o dedicarti a calcio o boxe. Ma ora gli sportivi sono merce costruita in laboratorio. Se non ce l’hai fatta a 14 anni sei già out. Nella musica e nell’arte non è molto diverso ma in questo ultimo ambito un’ultima speranza ancora ce l’hai. Il guizzo, l’intuizione, il colpo di fortuna, una concatenazione di circostanze possono aprirti una strada, darti una luce. La trap può essere un mezzo immediato in tal senso.
Un suono, un’attitudine, una modus vivendi che nasce, non a caso, in luoghi di spaccio e consumo, ad Atlanta. Case abbandonate (le trap house) dove ci si ritrova clandestinamente e che generano il mood, lento, cupo, disperato e decadente, del genere. Brani fatti con il minimo indispensabile. Basi elettroniche minimali, scarne, essenziali a cui si sovrappongono narrazioni personali (caratterizzate da un uso volutamente esagerato e quasi parodistico dell’autotune sulla voce) di ciò che accade, allo stesso modo dei primi toaster reggae giamaicani che su brani remixati e allungati in loop, raccontavano la realtà circostante, fin dagli anni Settanta.
Si innesta in questo modo il concetto del Do It Yourself, dell’autogestione del brano e della proposta artistica. Un concetto «volatile», musica distribuita non sul canonico cd o supporto fisico ma via web, con un concetto di degradabilità quasi immediata. E che si espande in breve tempo ovunque. La facilità di produzione a basso costo è tra le particolarità più immediate, mutuata da rap e hip hop. Lo studio di registrazione è facilmente riducibile a un portatile, un microfono e un paio di cuffie. Autogestione a prezzo (e chilometro) zero. Dalla propria stanza alla conquista del proprio paese o del mondo. A cui si unisce l’immediatezza della fruizione, il linguaggio quasi carbonaro comprensibile solo agli adepti ma che ha il fascino perverso del proibito, del mondo delinquenziale e della trasgressione, che sono tra i propulsori dell’espansione in tutto il mondo. Diventando uno dei fenomeni giovanili di maggior seguito di sempre. Non necessariamente fautore di tatuaggi in faccia o comportamenti estremi ma nuovo meta linguaggio con le variabili adattate ai luoghi geografici. Che si sviluppa esclusivamente sul web, veloce, immediato. Che non ha bisogno di tour in locali, prove incessanti in cantina, strumentazioni complesse ed economicamente onerose.
USI E ABUSI
In Italia la trap arriva a metà degli anni Dieci e si può fare idealmente coincidere con il successo dell’esordio di Sfera Ebbasta con XDVR, inizialmente distribuito in download gratuito e solo successivamente pubblicato dall’etichetta di Marracash in una riedizione dove compare il brano Ciny in cui offre uno spaccato della periferia da cui viene, Cinisello Balsamo. Il tutto corredato da liriche con riferimenti chiari all’uso di droghe, dalla marijuana all’abuso della codeina. È il disco che lancia il talento del produttore Charlie Charles, factotum della scena trap nostrana, dietro ai primi successi di Ghali (uno dei personaggi più interessanti, latore di messaggi e testi più profondi e concreti), Tedua, Izi. E che è riuscito, in poco tempo, partendo da una condizione di totale autogestione, a diventare l’artefice di una vittoria al Festival di Sanremo, dove nel 2018 ha trionfato Mahmood con Soldi, grazie anche alla sua produzione. La Dark Polo Gang è la punta di diamante della scena romana. Anche loro escono autoprodotti, con una propria etichetta e un produttore alle spalle, stretto collaboratore e coetaneo del gruppo, Sick Luke. Nel 2015 il primo album viene, anche in questo caso, distribuito gratuitamente. Anomali nel porsi in modo sfrontato, esaltando il lusso, il danaro, ostentando ricchezza, sfacciataggine e disprezzo per povertà e umiltà, e un atteggiamento sempre unpolitically correct, attirandosi le ire e le critiche di molti rapper e trapper. Non a caso non avranno alcun problema ad abbracciare una major. Assimilabile al fenomeno trap, solo per vicinanza elettiva ma mai effettivamente parte integrante della scena, c’è il periodo degli esordi di Achille Lauro, ormai traghettato a un successo trasversale e musicalmente orientato in ben altre direzioni. Non dimenticando uno dei personaggi più estremi, provocatori e controversi come Young Signorino, cialtrone per molti, genio per (pochi) altri ma che, come buona parte dei trapper, non passa inosservato.
Dato significativo è la pressoché totale assenza, perlomeno in Italia, di importanti nomi femminili, a testimonianza di una scena non necessariamente considerabile misogina ma sicuramente poco incline a dare spazio a personaggi non maschili (tra le ragazze spiccano Luna, Priestess, Myss Keta, Beba, Chadia Rodriguez). E infine occorre sottolineare come in questo ambito sia fiorita la prima generazione di musicisti figli di immigrati, nati o cresciuti in Italia, da Ghali a Mahmood a Laioung.
La trap è il fenomeno più significativo in ambito musicale negli ultimi anni, testimonianza di un cambiamento epocale che ha modificato per sempre la modalità di fruizione della musica. Piaccia o meno. Agenzia X ha da poco pubblicato un libro di UFPT, Trap. Storie distopiche di un futuro assente, importante e basilare per chi vuole cogliere gli aspetti sociali, culturali e artistici del movimento. Contiene spunti essenziali per comprendere ciò che sta accadendo, in ambito strettamente musicale e (sotto) culturale. Chi ama le sottoculture giovanili ed è curioso di comprenderne le evoluzioni e i cambiamenti farebbe bene a provare a capirne di più. Anche grazie a questo libro.