Dal concorso del Sundance Film Festival, Bring Me Liberty, del moscovita immigrato a New York Kirill Mikhanovsky, arriva alla Quinzaine in tutta la sua anarchica anomalia rispetto al cinema indipendente americano generalmente predicato sulla Croisette. Parzialmente autobiografico (anni fa il regista ha lavorato come autista di un pulmino medico per disabili, a Milwaukee, in Wisconsin), il film è ambientato per la sua maggior parte in un minivan carico di handicappati, anziani immigranti russi che a malapena parlano l’inglese e proletari afroamericani. Alla guida di questo concentrato di sfortuna ed emarginazioni, da cui Mikhanovsky estrae una commedia delirante e una polticamente affilata, è Victor (Chris Galust, scoperto dal regista in una panetteria di Brooklyn), stoico e dolce, il cui furgoncino viene preso d’arrembaggio da una comitiva di urlanti amici russi del vecchio nonno che devono recarsi a un funerale. Con loro un giovanotto che sostiene essere il nipote della morta ma potrebbe essere un truffatore.
Vic è già ritardo, il supervisor che strilla al telefono, quando, alla tappa successiva, in un quartiere afroamericano, blindato per via della proteste contro la violenza della polizia, le cose si complicano con l’arrivo a bordo di una ragazza paraplegica.

SOPRA E SOTTO, dentro e fuori, avanti e indietro, Mikhanovsky, che usa attori e non, lavora freneticamente sulla slaptick in questa versione iperaccellerata di un romanzo di formazione, che alla fine trova nella disperazione, nel disordine supremo dell’azione, dei suoi effetti e dei suoi contraccolpi, una struggente, malinconica, armonia. Più canonico, nel quadro della scene indie Usa il secondo independent americano presentato nella sezione Un Certain Regard, The Climb, di Michael Angelo Covino. La salita del titolo è quella che Mike (interpretato dal regista) e Kyle stanno salendo in bicicletta. Ombroso e depresso il primo, solare e generoso l’altro, il film è la storia agrodolce della loro amicizia – in cui le donne sono sempre oggetto di discordia.