Una battaglia contro il sovranismo per la costituzione di una Repubblica del genere umano, sotto la quale seppellire il concetto di «altro da sé» nel suo essere matrice di discriminazione, germe di guerra, pietra tombale della libertà e dell’uguaglianza. Sembrano parole piombate nell’arena di un presente sconcertato da navi piene di disperati senza approdo. Sono, invece, le invocazioni, fin qui inedite in Italia, del prussiano Anacharsis Cloots, ripubblicate dai tipi di Castelvecchi e contenute in Le basi costituzionali della Repubblica del genere umano (pp138, euro 16), con la curatela, la prefazione e la traduzione di Alessandro Guerra, che indaga da anni l’ordito complesso, le trame contrastanti dell’evento «Rivoluzione francese».

IL FILO, qui seguito, parte dalla ripubblicazione di un testo capace di raccontare quanto l’insurrezione, seppure nata dalla trasformazione del bisogno sociale in imposizione di giustizia sociale, debba poi fare i conti con le proprie antinomie: quando da «dissenso» si diventa «ordine» che se ne fa del dissenso? Perché chi non vuole seppellire la propria singolarità in una ottusa partigianeria è sempre un eretico cui i partiti destinano le gomitate dell’emarginazione?
Cloots, come tanti altri visi della storiografia che indaga gli accadimenti negli interstizi, smuoveva il grossolano degli ideali per indagare la tenuta delle cose. Contestando il concetto di cittadinanza di Robespierre per opporgli un ideale di cosmopolitismo che facesse della presa della Bastiglia l’inizio di una insurrezione generalizzatala, chiedeva alla Rivoluzione francese di rispondere, ai tempi della guerra dichiarata dagli austro-prussiani, al quesito internazionalista. Lo stesso quesito che portò anni dopo Lenin a comprendere che non era uno stato contro l’altro la geometria da seguire ma quella della classe sfruttata contro quella che sfrutta.

NELLE VISIONI di Cloots sull’architettura istituzionale del futuro, la cittadinanza del mondo era concepita come «una concreta modalità di riorganizzazione», slegata dalla proprietà nel tentativo di mostrare al mondo che quello che separa gli esseri umani sarà sempre di gran lunga meno importante di quello che li accomuna. Il suo metodo fu quello della conricerca, viaggiò in Europa, studiò tutti i sistemi. Il suo universalismo partiva da una comparazione tra religioni, che pur facendolo radicare nell’ateismo illuminista, gli permetteva di apprezzare «la saggezza dell’islamismo, la solidità dell’ebraismo».
La storia di Cloots è la storia di un errante del pensiero difficile da raccontare, tanto che non vi è traccia di lui nella ricostruzione ufficiale dello storico Albert Mathieuz. Eppure hanno una eco lunghissima i suoi proclami contro la possibilità di definire una rivoluzione riuscita fin quando ci saranno «confini e migranti».
Nemmeno le sue idee hanno tenuto bene, però, nelle pieghe della sua biografia che ha saputo, dicendosi realista nell’accettare i compromessi, farsi ambigua, perfino opportunista, raccontandoci così che, dietro le contraddizioni della storia, ci sono sempre quelle dell’uomo.