Il caso Anac resta aperto: continua la ricerca della «manina» che nel Consiglio dei ministri del 13 aprile ha cancellato il comma 2, eliminando la «raccomandazione vincolante» che consente all’Autorità anticorruzione di Raffale Cantone di intervenire rapidamente in casi gravi, senza attendere i tempi lunghi della giustizia ordinaria.

Depotenziare l’Anac ha aperto uno scontro che avrebbero potuto minare il governo, avvicinando la data delle elezioni proprio quando Matteo Renzi spinge per andare al voto prima del 2018. Dagli Usa il premier è intervenuto già giovedì per sancire la marcia indietro: «Sarà posto rimedio in sede di conversione» ha assicurato Gentiloni. L’altro ieri era circolata la versione che il comma fosse stato abrogato sulla base di un parere del Consiglio di Stato, che giudicava «eccessivi» i poteri dell’Anac. I renziani avevano così messo in giro il commento: «Il Consiglio di Stato è impegnato a smantellare le riforme del governo Renzi». Ma sarebbero stati gli uffici tecnici della presidenza del consiglio, retti da Maria Elena Boschi, a operare la correzione. E la ministra sarebbe stata presente.

Inoltre dall’Anac giovedì è stato spiegato che, nonostante «una proficua collaborazione» durante l’iter del provvedimento, nessuno li ha contattati per discutere una modifica che eccede i poteri del governo rispetto alla delega ricevuta dal parlamento. E ieri, in una nota, il Consiglio di Stato ha precisato che in «nessun parere è stata chiesta l’abrogazione del comma 2; al contrario, sono state fornite indicazioni per rendere la raccomandazione vincolante uno strumento efficace, immune da profili di eccesso di delega. Una riformulazione in chiave di controllo collaborativo che avrebbe condotto a un rafforzamento dei poteri dell’Anac».

Cantone, ieri su Repubblica, ha commentato: «C’è chi, nei palazzi qua intorno, sta seriamente pensando di ridimensionare l’Anac». Sono tanti i campi sensibili in cui l’Anticorruzione prova a fare luce, compresi l’inchiesta Consip e l’esposto sul salvataggio dell’Unità.

Giovedì Renzi ha fatto sapere alla stampa di essere molto contrariato, ieri ha assicurato che dietro l’iniziativa non ci sono né lui né Boschi: «Cantone lo abbiamo scelto noi. Mi pare che il presidente Gentiloni abbia già detto quello che andava detto, siamo tutti d’accordo con lui». Impegnati a sminare il campo anche i ministri: «C’è stato un errore tecnico, senza alcuna volontà politica» dice Roberta Pinotti. Attaccato dal renziano Ernesto Carbone, ieri Andrea Orlano ha ribadito: «Faccio mie le parole del premier: va assolutamente posto rimedio a questo errore». In difesa dell’Anac, ma anche del guardasigilli che appoggiano nella corsa alla segreteria, un gruppo di senatori (Camilla Fabbri, Stefano Vaccari, Rosaria Capacchione tra gli altri): «L’impegno contro la corruzione è stato sempre al centro dell’azione del Pd, che da questa vicenda è il primo a essere danneggiato».

Finito sulla graticola, Graziano Delrio ieri si è difeso: «Nessun ministro ha appoggiato in Cdm quella norma. La vicenda è grave, ma correggeremo l’errore già nello stesso decreto legislativo sul codice degli appalti oppure nella manovrina». Attaccano a testa bassa i 5S: «La manina che ha tolto all’Anac i poteri sugli appalti è del Pd», twitta Luigi Di Maio. Renzi replica usando l’ironia: «Ho sentito un deputato 5 Stelle difendere l’Anac. Finalmente elogiano le mie riforme».