«Parlo mucho, muchissimo e veloce». Lo dice con un ampio sorriso Ana Tijoux prima di cominciare l’intervista e mette subito le mani avanti con ironia. Conosce la sua passione, quella stessa che la fa cantare a raffica sui beat dei suoi pezzi che da Santiago del Cile stanno facendo il giro del mondo. Poco dopo Ana sta già raccontando di quella sua 1977, diventata l’inno che ha guidato le proteste studentesche nel suo paese e di come rifiuti l’etichetta che le ha incollato addosso il New York Times: «la risposta sudamericana a Lauryn Hill», storica voce femminile dei Fugees e autrice di un album manifesto come The Miseducation, pubblicato nel 1997.

«Non mi piacciono le stellette e le etichette, i diplomi appesi ai muri degli specialisti, non mi interessa essere un’icona. Non voglio, mi basta sensibilizzare le persone». Tutti concetti che per la trentaseienne rapper nata a Lille in Francia e cresciuta a Parigi ritornano non solo sul palco, ma nella vita vera. Cilena ma francese sul passaporto, Ana Tijoux è figlia di due rifugiati politici arrivati oltralpe dopo il colpo di stato di Pinochet e cresciuta in Europa, per poi rientrare in Cile nel 1993, «una cultura e un paese con cui mi risulta più naturale relazionarmi», spiega l’artista, il cui esordio come solista risale al 2007 con l’album Kaos, dopo aver cantato nei Makiza, uno dei principali gruppi hip hop militanti cileni attivi tra la fine degli anni Novanta e il 2006. «Viaggiare negli States in tour e guardare l’America Latina da un altro punto di vista è stato proficuo: mi ha offerto la possibilità di fare un’analisi sociologica profonda. Rientrando in Cile mi sento adesso ancora più sudamericana di prima…».

Un’appartenenza che per Ana Tijoux è culturale, musicale e profondamente affettiva: «ricordo che quando ero a Parigi una volta il professore da cui prendevo lezioni di chitarra ha suonato il charango, una piccola chitarrina diffusa nelle zone andine, quando l’ho sentita mi sono emozionata tantissimo, era un suono legato alla mia memoria. L’educazione europea mi ha fatto inevitabilmente dimenticare poeti e scrittori sudamericani come Violeta Parra e Gabriela Mistral», prima donna latina vincitrice del Nobel per la letteratura nel 1945. «La memoria è fondamentale, è quella ad esempio che il mercato cerca di cancellare imponendoci le stesse canzoni». È la cosiddetta ’dittatura dell’heavy rotation’. Ma l’alternativa esiste: «una soluzione che oggi abbiamo in più rispetto al passato, cercare la musica che più ci piace scegliendola in rete, senza intermediari…».

Dove la memoria poi non viene cancellata spesso subentra l’appropriazione e la rielaborazione delle diverse fonti: «i paesi ex colonialisti, Francia compresa, hanno un bagaglio culturale enorme, portato dagli immigrati arabi e africani: pensiamo solo a Fela Kuti e Yossou N’Dour, ma anche a Public Enemy e Pali Pasan. Se penso a oggi poi c’è Stromae, fantastico nell’essere riuscito ad essere dentro il pop e a romperne i paradigmi: siamo tutti nati da un mix di culture, l’unica purezza è…il meticciato». «In Cile – prosegue Ana – dopo ’l’apertura democratica’ anche la musica ha preso nuove direzioni, accogliendo accanto a grandi protagonisti come gli Inti Illimani le influenze che arrivavano da fuori, dalla techno, al reggae, allo ska. È così hanno potuto nascere rock band che hanno fatto dell’ironia un cavallo di battaglia come i Los Prisoneros».

È un fiume in piena Ana, gesticola e sulla mano destra rivela un tatuaggio: 1977, anno del punk e sua data di nascita, nonché titolo del suo secondo album, uscito nel 2009 e arrivato da qualche settimana in Italia trainato dal singolo omonimo. «È quasi surreale ritrovarmi oggi con quel disco realizzato in uno scantinato con un gruppo di amici rapper» commenta la Tijoux, eppure quei brani non hanno perso la loro forza, tanto che 1977 è stata cantata a memoria dai ragazzi cileni guidati da Camila Vallejo durante i giorni delle scuole occupate. «Proprio in quei giorni stavamo lavorando il progetto del video di Shock e il paese stava vivendo un lungo periodo di proteste, i telegiornali parlavano di ragazzini di 15 o 16 anni che si barricavano nelle scuole.

Così abbiamo deciso di andare a trovarli per parlargli. Non è stato facile, bussavamo alla porta e loro ci urlavano sospettosi dall’altra parte ’Chi sei, un giornalista?’. Alla fine ci hanno fatto entrare, ci siamo seduti al tavolo e abbiamo cominciato a parlare. Sono nate alcune amicizie che durano ancora». E anche un videodocumentario abbinato a Shock, dove si parla di istruzione libera per tutti e si schiera contro le privatizzazioni. Una canzone ispirata al libro omonimo dell’autrice di No Logo, Naomi Klein, che ha ringraziato la Tijoux per questo mini documentario visto dal punto di vista dei ragazzi. Ana Tijoux sarà protagonista al Festival Latinoamericando di Milano il 18 luglio.