I grandi racconti epici e cavallereschi del Medioevo europeo, con Orlando, Olivieri e Carlomagno, con Artù, Lancillotto, Ginevra, Galvano, con l’amore fatale di Tristano e Isotta, che ci sono giunti attraverso i testi, ispirano anche tanti artisti, più o meno grandi, che li fanno rivivere sulle facciate, sui muri, sui pavimenti dei castelli, dei palazzi, e anche delle chiese. Hanno l’aria di essere direttamente ispirati agli apparati decorativi delle dimore nobiliari e ricco borghesi del tempo questi versi dell’Intelligenza, poemetto allegorico toscano tardoduecentesco, che descrive le pitture di tematica bretone che ornano la volta del palazzo dove regna la Madonna del poeta, cioè la stessa Intelligenza: «Dall’altra parte del ricco palazzo / intagliat’è la Tavola Ritonda, / le giostr’e ’l torneare e ’l gran sollazzo; / ed èv’ Artú e Ginevra gioconda / per cui ’l pro’ Lancialotto venne pazzo, / March’ e Tristano ed Isolta la blonda, / e sonv’i pini e sonvi le fontane, / le giostr’ e le schermaglie e le fiumane, / forest’ e land’ e rre di Trebisonda». Ci fa entrare in questo fantasioso mondo dipinto, un mondo parallelo rispetto alla letteratura, il bel libro di Maria Luisa Meneghetti Storie al muro Temi e personaggi della letteratura profana nell’arte medievale (Einaudi, pp. 462, euro 85,00), sontuosamente illustrato con 131 immagini a colori. Molto opportunamente, in presenza di un materiale sterminato, la trattazione e l’analisi si concentrano su alcuni casi particolarmente significativi, «su degli “aneddoti” come usano dire i neostoricisti». Un primo blocco di figure ci porta nel mondo dell’epica, delle canzoni di gesta, con la predominanza di Rolando e di Ulivieri (forse nella coppia di statue di guerrieri che ornano il portale del duomo di Verona, sicuramente nei fregi della Ghirlandina di Modena), ma anche con Uggeri il Danese, con le storie di Berta, Milone e Rolandino (nei bassorilievi della facciata del duomo di Fidenza), con Guglielmo d’Orange in duello con Ysoré (negli affreschi del castello di Casaluce, presso Aversa). Abbiamo qui prodotti di buona qualità, ma non mancano, per questi eroi epici, anche capitelli e rilievi di fattura molto modesta e provinciale. Per il mondo della corte, oggetto del terzo capitolo, incontriamo Tristano e Isotta (nello straordinario soffitto ligneo della Sala Magna del Palazzo Chiaramonte – lo Steri – di Palermo, dove sono rappresentati l’episodio del filtro e l’episodio di Marco che spia l’incontro degli amanti), la storia d’amore del cavaliere arturiano Yvain con Laudine (nel castello di Rodengo, Schloss Rodeneck, all’imbocco della Val Pusteria, in Alto Adige), ma soprattutto gli amori di Lancillotto e Ginevra, raffigurati negli splendidi affreschi di Pisanello nel Palazzo ducale di Mantova, con episodi tratti dal Lancelot du Lac, e nella «camera Lanzaloti» della casa-torre di Frugarolo, presso Alessandria, nel Piemonte meridionale. Nel campo dell’illustrazione miniata spiccano naturalmente i grandi canzonieri trobadorici, con raffinate allusioni alla biografia poetica dei vari autori, ma, a partire da questi, l’indagine si rivolge alle «poesie al muro», con la Camera d’Amore del Castello di Sabbionara d’Avio, in Trentino, con gli affreschi del Palazzo del Popolo a San Gimignano, con la scena cortese di Palazzo Finco, a Bassano del Grappa, con «i Plantageneti a cavallo» della Chapelle Sainte-Radegonde a Chinon, nell’Anjou. Non è sempre facile interpretare questo mondo dipinto, decifrare i personaggi e le scene, ma spesso non c’è alcun dubbio. Il guerriero di sinistra nel portale del duomo di Verona porta una spada su cui è inciso il nome Durindarda: è quindi sicuramente Rolando. Negli affreschi del ciclo di Rodengo (1210-’16 ca.) una scrittura in lettere capitali indica l’identità dei personaggi della storia, YWAIN, ASCHELON, LAUDINA, LUNETA: la sala illustra la prima parte dell’Ywein di Hartmann von Aue, rifacimento medioaltotedesco dell’Yvain di Chrétien de Troyes. È interessante notare che l’artista, o più probabilmente il committente-ideatore, ha rinunciato allo svolgimento della storia e anche allo straordinario e celebre compagnonaggio tra l’eroe e il leone, che in Chrétien dà addirittura il titolo al romanzo, Le Chevalier au Lion. Si potrebbe pensare, suggerisce Meneghetti, che gli affreschi vogliano celebrare, sub specie romanzesca, l’unione di un’ereditiera vedova con un giovane cavaliere «povero». Il ciclo del castello della Manta rivela, a leggerlo attentamente, una sorta di «disarmonia prestabilita», che gioca sulla varietà tonale e tematica delle immagini: di fronte alla sfilata dei Prodi, che è un’aperta celebrazione della famiglia dei marchesi di Saluzzo, i padroni del castello, c’è, con preciso effetto di contrappunto, la Fontana di Giovinezza, di sapore comico e libertino. Ora la Fontana di Giovinezza, come Meneghetti dimostra, è ispirata alle miniature di un romanzo francese, il Roman de Fauvel: proprio un manoscritto di questo romanzo, qualificabile come «carnevalesco», Tommaso di Saluzzo aveva portato con sé tornando dal soggiorno parigino del 1403-’05. Anche gli affreschi di Frugarolo (realizzati tra il 1392 e il 1402) sono perfettamente leggibili, anche perché dotati di didascalie che non ci lasciano dubbi: la fonte doveva essere un esemplare del Lancelot du Lac analogo a quelli che arricchivano le biblioteche dei signori dell’epoca, un esemplare forse ancora copiato in Francia. Fino a pochi decenni fa dell’esistenza delle «camerae Lanzaloti», a Ferrara, a Mantova, avevamo solo notizie indirette. Il fortunato ritrovamento degli affreschi di Frugarolo ci consegna un ciclo di straordinario rilievo. Meneghetti, che insegna Filologia romanza nell’Università di Milano e che conosce la letteratura cortese come pochi, decifra e commenta con grande finezza le quindici scene che decorano la grande sala della torre, ponendole in stretto rapporto con il testo del Lancelot du Lac. Le scene, in genere ben conservate e leggibili in tutti i particolari, mostrano la notevole capacità del pittore di condensare in un solo quadro dai tratti fortemente emblematici un’ampia porzione di racconto. Ci sono anche cambiamenti: il rapporto tra Lancillotto e Galehot, il perfetto alter ego mondano e terrestre del protagonista, senz’altro molto forte anche nella fonte romanzesca, viene ulteriormente accentuato. Il tratto dominante sembra essere la valorizzazione del lato euforico e laico della storia. Viene omessa la morte di Galehot e si evita anche qualsiasi riferimento o allusione al tema mistico della ricerca del Graal. Se per diverse figurazioni, come si è visto, è possibile ricostruire perfettamente la storia che raccontano, in diversi casi non è così. Siamo allora nel campo delle ipotesi, che Meneghetti vaglia e soppesa con intelligente acribia. Il guerriero con la clava negli affreschi di Casaluce è Rainouart o piuttosto Ysoré? Come mettere ordine nell’enorme summa figurata dello Steri di Palermo? È possibile riconoscere nella figura centrale dell’affresco di Palazzo Finco a Bassano del Grappa l’imperatore Federico II? Quali intrighi, quali lotte di potere nascondono i personaggi così magnificamente affrescati da Pisanello a Mantova? Più spesso però – esemplare il caso di Frugarolo, ottimamente commentato – il cerchio ermeneutico si chiude, e l’intervento dei testi, della letteratura, sapientemente messo in campo, ci permette di cogliere l’intenzione e il significato delle belle immagini dipinte.