Accidenti, domani è già Natale! Almeno per me la vera festa è la vigilia, la sera del 24. Tanti anni fa si faceva dell’ironia, ripetendo lo slogan anticonsumistico: «Natale, Natale, più profitto al Capitale…». Ma poi si collaborava agli intensi preparativi che la mamma esigeva per l’addobbo del grande albero che non poteva mancare. E che doveva essere il più alto e folto possibile. (Oggi è giustamente considerato un delitto utilizzare abeti veri..). Con tutti gli annessi e connessi: pacchi e pacchetti con bigliettini personalizzati, cibi e bevande per la riunione della «grande famiglia» ecc.

Anche in tempi di crisi non ce la sentiamo di ostentare troppa sufficienza per un evento così conficcato, in un modo o nell’altro, dentro le nostre vite.

Ho trovato quasi commovente, per esempio, la notizia che a Cornigliano – quartiere di Genova che ho frequentato molto quando era tutti i giorni battaglia per liberarsi dai fumi tossici dell’Italsider, ma senza danneggiare possibilmente gli operai siderurgici – i tanti negozianti immigrati, pur essendo musulmani, hanno partecipato volentieri alla colletta per acquistare le luminarie natalizie. E abbellire un po’ la strada principale. «Non è la nostra festa – diceva qualcuno ai giornali – ma vogliamo condividerla».

Certe volte provo una specie di invidia per papa Francesco, che non ha alcun problema a pronunciare spesso e in modo convinto la parola amore. Per me la cosa è notevolmente più difficile. Sia pensando alle vicende personali, e ancor più al bisogno sociale di una cosa che si può chiamare amore.

Dipende certo dall’uso troppe volte strumentale, ipocrita, insulso, che si fa della parola. Eppure sappiamo di non poterne fare a meno.

Tempo fa mi sono aggrappato all’autorità di un filosofo poco raccomandabile come Alain Badiou. Uno che continua a definirsi comunista, e per giunta platonico e hegeliano! Il quale però ha scritto un delizioso libretto intitolato senza pudore «Elogio dell’amore».

Dice, citando Rimbaud, che è una cosa essenziale per la vita e che oggi deve essere reinventata. E’ una «procedura di verità», è la «scena del Due» che, accettando la prova e anche la durata, costituisce una «esperienza del mondo dal punto di vista della differenza», è una «avventura ostinata» che cambia la verità e il mondo stesso.

Quanto al suo rapporto con la politica esiste una «sorta di risonanza segreta». Sono come due «strumenti musicali – dice Badiou – completamente diversi per timbro e intensità che, messi insieme nello stesso brano da un grande musicista, convergono misteriosamente».