Alla prima proiezione, al festival di Cannes, tutti (o quasi) sono impazziti. Non esistevano che La vie di Adèle, il film di Abdellatif Kechiche, e le sue protagoniste, Léa Seydoux e Adèle Exarchopoulous, belle, sfrontate e fragili al tempo stesso, con la loro storia d’amore che come tutte le storie d’amore finirà male … La critica d’oltralpe lo osanna, e ancor di più quando il presidente della giuria Spielberg premia il film con la Palma d’oro a regista e interpreti. Finalmente il cinema francese vince il «suo» festival – e in un momento di tensioni, era in discussione la nuova convenzione collettiva che minacciava con il minimo salariale fisso le produzioni più indipendenti. Presto però l’entusiasmo di quella sera sulla Croisette, coi sorrisi di Kechiche, Seydoux. Exarchopoulous comincia a incrinarsi.

A rovinarlo ci avevano già pensato a Cannes i lavoratori del film accusando il regista, e la produzione, di non rispettare le regole sindacali. Poi ha cominciato Léa Seydoux con le accuse a Kechiche di essere «sadico e oppressivo sul set e di averle distrutte». Risposta del regista: «È una ragazzina viziata». Intanto si era arrabbiata anche Julie Maroh, l’autrice di Le Bleu est une couleur chaude la graphic novel a cui il film si ispira, criticando le scelte di Kechiche nel modo di confrontarsi con l’omosessualità. Quest’ultima cosa è forse un po’ un malinteso perché La vita di Adele non è un film lesbico pure se racconta la relazione tra due donne, e il paragone spesso avanzato in questi mesi col capolavoro di Alain Guiraudie, Lo sconosciuto del lago, lo ha accresciuto. Guiraudie esplora il desiderio nell’universo maschile omosessuale, in un’unità di tempo e di spazio che lo rende cinema oltre il quale non sappiamo nulla.

L’Adele di Kechiche non è lesbica, magari Emma lo è, ma lo sguardo del regista è quello di Adele, sono la sua bocca sempre aperta, gli occhi spalancati, gli incisivi tra le labbra voraci, il moccio che filma entrandole nel naso, i capelli, il filo di saliva mentre dorme …. Quello che vuole raccontare cinematograficamente Kechiche è una storia d’amore, dall’attimo in cui gli sguardi si incrociano e le ragazze entrano una nell’altra, e c’è la voglia di scoprirsi, di toccarsi, la tensione sospesa fino al primo bacio, al sesso, la scena d’amore filmata nel tempo prolungato che scandisce il cinema del regista francese, tirando la sua immagine allo sfinimento (ricordate la corsa del vecchio nel finale di Cous Cous ?)

Adele è una ragazzina, un’adolescente che si cerca. E in Emma, e nella ragazza con cui prima di lei fa l’amore a scuola, trova qualcosa che il ragazzino coetaneo non le dà, qualcosa che somiglia di più al desiderio della prima volta, all’idea dell’amore e del piacere, qualcosa che fa vibrare i suoi nervi, la carne, l’emozione, mentre le mani un po’ noiose del maschio la lasciano indifferente. Alchimie. E il piacere è oltre il genere, almeno questo Kechiche lo dice , e nel romanzo di formazione della sua vita – ai capitoli 1 e 2 – Adele per ora arriva qui. A Emma e ai suoi capelli blu sopra il sorriso da ragazzetto impunito. Con lei Adele riesce a vivere le parole di Marivaux che sono la sua guida al mondo. Emma è un’artista, le fa scoprire cose ignote, lei avidamente si nutre della sua esperienza, è sua amante e modella.

. Nulla e tutto, uno sguardo, un filo d’erba, un pezzo di cielo, un silenzio pieno di parole. Poi però deve chiudere, costruire riferimenti, spiegazioni «concrete». Adele viene da una famiglia piccolo borghese, a casa sua si mangiano gli spaghetti alla bolognese incollati alla tivvu. Emma è di famiglia agiata e intellettuale, la mamma accoglie Adele con le ostriche, e un nuovo compagno, sulle pareti è pieno di quadri, la conversazione è lieve. [do action=”citazione”]Ma i frammenti di un discorso amoroso non gli bastano. Per un poco vi si immerge, ed è anche la parte migliore del film, quando segue le due ragazze nei loro primi incontri catturando «visivamente» l’emozione impalpabile di quando non accade[/do]

Per carità, siamo sempre nella provincia «sombre», e le velleità artistiche e la trasgressione di Emma si incollano anch’esse perfettamente all’universo provinciale. Negli anni, perché passa del tempo, Emma si accorge che Adele sta diventando una casalinga, che è contenta del suo lavoro di maestra, e che non sa abbastanza su Klimt. E per di più va pure a letto col collega scemo … Così la pianta per tornare alla sua vecchia fiamma, ora incinta (guarda un po’ …). E la povera Adele appare al suo vernissage vestita come nessuno mai col vestito azzurro cheappissimo che è una vera cattiveria, in mezzo al nero d’obbligo. Quasi una Venere ottentotta di oggi, e solo il maghrebino proletario come lei (forse un po’marchetta) che ha messo da parte le sue aspirazioni di attore, la degna di attenzione.

Ecco, è questa mancanza d’amore per i suoi personaggi che trovo sgradevole in Kechiche, e che trasforma il suo filmare in un virtuosismo fine a sé stesso. Perché incollarsi ai corpi, come fa con quello di Adele, senza compassione o complicità? Seguendo l’ossessione di possederli, quasi fino alla penetrazione, svuotata però di desiderio tanto che anche la scena di sesso «scandalo» (le lacrime sono molto più pornografiche nel film)tra le due donne, nell’esecuzione «magistrale» mette da parte la magia del corpo.

C’è sempre un che di giudicante in Kechiche, qui ancora di più,come si fa a giudicare le storie d’amore, e con la griglia delle convenzioni sociali in più. Certo ogni relazione implica anche un gioco di «potere» ma è il rischio (e la bellezza), paura e desiderio. Ci si lascia perché ci si lascia ricchi o poveri, lo stesso Kechiche ci dice che dopo cena ) o pranzo) si scopa allo stesso modo nelle case dei borghesi e dei radical chic. Basterebbe lasciar libero il respiro che la macchina da presa dichiara a ogni fotogramma, trasformato invece in una sorta di gabbia, nella quale i personaggi appaiono inchiodati a una sola possibilità.