Sabato scorso si è tenuto a Milano il convegno internazionale «Amore e odio per l’Europa» organizzato dal Forum Europeo di Psicoanalisi.

Nel suo discorso di apertura, Domenico Cosenza, Presidente della Eurofederazione di Psicoanalisi, si è chiesto come è stato possibile che l’Italia, nazione eurofila, diventasse in poco tempo euroscettica, ostile nei confronti del progetto dell’Unione europea, di cui è membro fondatore, perfino incline a uscirne.
Quasi in contemporanea, Antonio Tajani, presidente dell’europarlamento, ha esclamato, nella commemorazione delle vittime delle foibe, «Viva Istria e Dalmazia italiane».

A parte le proteste rituali di Slovenia e Croazia, paesi dell’Unione che egli dovrebbe rappresentare, il fatto non ha suscitato clamore. Il disorientamento e la viltà in cui si sono impigliate le forze politiche europee, nascondendosi dietro la prudenza, ci dicono che la dissoluzione dell’Europa è già in atto.

Solo il coraggio, la speranza che conosce il lutto, e la memoria, il passato vivente che afferra il futuro, possono farci rinsavire e creare le premesse, mai veramente costruite, di un popolo europeo aperto a scambi sufficientemente paritari con gli altri popoli.
In assenza di ciò dovremmo aspettarci terremoti, catastrofi e invasioni barbariche (prodotto di una civiltà invertita nel suo incedere, incastrata nella propria regressione). Giochiamo con la morte.

Al nazionalismo, il folle chiudersi nel proprio recinto in un mondo selvaggiamente globalizzato, il modo più sicuro per essere travolti dalle onde anomale che attraversano il pianeta, si associa il ribellismo. Una delle relatrici del convegno di Milano, la psicoanalista francese Marie-Hélène Brousse, ha fatto notare come i «gilet gialli» indossati dai ribelli che contro Macron non avanzano richieste chiare, sono uniformi delle forze d’ordine deputate al controllo stradale.
Il loro uso denota un processo di uniformazione omologante a una logica di consumo che traveste l’ordine in disordine e sostituisce la politica delle cose agli ideali e il passare all’azione alla negoziazione.

Brousse ha ragione. La libertà di circolazione (la giusta rivendicazione che soggiace a una protesta deviata, perché ipotecata alla sua origine da un destino populista) è stata deformata nella richiesta di una circolazione senza regole, in cui, se non ci distraggono le apparenze, possiamo vedere la forma dell’ordine più totalitario: lo stato di eccezione fondato sull’arbitrio, il potere senza limiti del più violento.

L’Europa è fondata sull’amore e sull’odio tra i suoi popoli. L’amore domina il suo passato e presente di infinite contaminazioni culturali reciproche, determina la profondità degli scambi e un comune intendersi che oltrepassa le barriere linguistiche e si radica nella civiltà greca e romana. L’odio riflette le disavventure del desiderio, le sue impasse e i suoi disastri.

Ciò che ha minato il nostro senso di co-appartenenza è l’odio dissociato dall’amore: non un sentimento vero e proprio, ma una compulsione distruttiva.
Esso si è manifestato in due guerre mondiali: nella prima si è espresso nel modo più brutale col gassare i soldati avversari; nella seconda, col gassare milioni di Ebrei inermi. Il risveglio dell’antisemitismo dovrebbe farci rabbrividire.

La chiusura di una tradizione comune all’alterità, l’atteggiamento di rigetto dell’Europa contro i migranti, verso i quali è in debito etico da sempre, anticipa la propria autodistruzione.

La mutilazione del nostro rapporto con l’altro sfocia nell’automutilazione. La guerra fratricida in Jugoslavia e il trattamento spietato della Grecia, ci insegneranno, alla fine, qualcosa?