La pubblicità è ontologicamente zoccola, nel senso che per sua natura va dove tira il vento dell’acquisto, fa di tutto per vendere e per farsi notare. Niente di strano, quindi, che una nota casa di prodotti per l’infanzia abbia prodotto uno spot, da pochi giorni in onda su tivù e canali web, che con tono trionfalistico inneggia a un nuovo baby boom. Lo spunto sono le curve di natalità schizzate verso l’alto dopo ogni campionato vinto dalla «Grande azzurra, conquistatrice di quattro mondiali». Visto che nell’edizione Russia 2018 eravamo orfani della nazionale, la pubblicità ha proposto una, secondo loro, facile soluzione al grido di «Facciamolo lo stesso per far tornare grande l’Italia».

Nella fattispecie, la voce e il tipo di messaggi sono così accorati e sopra le righe che fin da subito viene il dubbio che lo spot voglia volutamente sfiorare il ridicolo e prendere in giro, con scienza e coscienza, lo spettatore. Eddai, come si fa a dire «Per la prima volta in 60 anni l’Italia non gioca ai mondiali. Una tragedia» senza sapere che si sta esagerando rispetto alle tragedie vere che ci circondano. E poi, come si può invocare «Facciamo un altro baby boom. Abbiamo bisogno di bambini, migliaia, milioni, trilioni di bambini» quando si sa che da tutte le parti ci dicono che la popolazione mondiale sta crescendo a ritmi insostenibili.

È vero, il messaggio si rivolge agli italiani, e qui viene il sospetto che si voglia strizzare l’occhio ai supporter e ai portatori, nonché possessore, di italici spermatozoi e ovuli, oltre che al neo ministro della famiglia. È altrettanto vero che, se volevano far parlare di sé, ci sono riusciti, vista la quantità di reazioni sul web. Ma siamo poi sicuri che la gente corra a mettersi incinta solo perché glielo raccomanda uno spot? E siamo altrettanto certi che, una volta scodellato l’infante, i genitori si ricorderanno di andare a comprare succhiotti, pappine, abitini e lettini prodotti dell’azienda che li ha incitati? Viene il dubbio che il messaggio serva più a promuovere l’agenzia che lo ha ideato che l’impresa che lo ha commissionato.

In ogni caso, un bambino non è come una saponetta o un gelato che, se ti deludono, non riacquisti e alla peggio hai perso qualche euro. Due non si saltano addosso presi da incontenibile ardore solo perché gliel’ha detto un consiglio per l’acquisto, o almeno spero non succeda altrimenti vuol dire che c’è in giro gente più disposta a farsi influenzare da uno slogan che dai propri ferormoni. È vero che molti di noi sono nati dall’ottimismo, dall’euforia, dal caso o dall’incoscienza, ma spero che nessun genitore debba mai confidare al figlio «Sai, ti abbiamo concepito dopo uno spot».

Se a qualcuno è successo, lo esorto a tacere per evitare di far sentire il proprio erede un prodotto commerciale, con evidenti crisi di identità. L’immaginario non è acqua, quello sulle proprie origini, poi, ha sempre bisogno di qualcosa di epico o particolare o singolare, soprattutto quando si è piccoli. Una volta adulti, si può anche ridere sopra alle circostanze nelle quali si è stati generati, ma è necessario comunque essere risolti e avere il dono dell’ironia, merce non frequentissima.
Mi restano comunque dei dubbi su come funziona il genere umano. Se è vero che quando una nazionale vince nove mesi dopo nascono più bambini, i casi sono tre. O i gol funzionano meglio del Viagra. O l’euforia fa dimenticare pillole e preservativi. O un pallone in porta inietta più ottimismo del Pil in crescita. O, semplicemente, quando si è in festa si diventa più fatalisti.

mariangela.mianiti@gmail.com