A volte, le migliori intenzioni sono lastricate di azioni sbagliate. Nel caso di Amore criminale, trasmissione di Raitre che da anni alterna alla conduzione attrici celebri, viene il dubbio che la migliore intenzione, quella di denunciare la piaga della violenza di genere, sia in realtà un espediente per fare audience. Arrivata alla nona edizione e costruita con la collaborazione di Arma dei Carabinieri e Polizia di Stato, la seria partita lo scorso 4 novembre è condotta da Asia Argento, carisma e tatuaggi perfetti per sottolineare la drammaticità dell’argomento. Allertata da alcune amiche ed ex donne maltrattate che mi hanno detto: «Devi guardarla. È terribile», mi sono costretta ad andare fino in fondo a una puntata, durata un’ora e 44 minuti. Le storie narrate sono due: un italiano che ha violentato una ragazza, una giovane donna uccisa dall’ex fidanzato.Ci sono mille modi per raccontare un evento o un fenomeno. Dipende da che cosa si vuole ottenere, se far ridere, piangere, impressionare, capire, imparare o pensare. Amore criminale risponde perfettamente a tutti gli obiettivi emotivi, disattende del tutto quelli informativi, ammesso che li abbia.

Quando il protagonista dello stupro parla di ciò che ha fatto, si dice pentito, ma dissemina il racconto di scuse. L’abbandono della madre da piccolo, la nuova donna del padre, la vita sbandata, le droghe e l’alcol, la ragazza che lo lascia per questo e lui che una sera violenta una ragazza per strada: «Così, di punto in bianco», come dice lui stesso, quasi che un gesto del genere possa essere gettato dal fato sulla testa di uno a caso. Non contenti, gli autori fanno seguire a questa testimonianza senza contraddittorio la voce dell’ avvocato che giustifica il proprio cliente dicendo che la violenza è nata da una pulsione latente o dall’uso di droghe e alcol. Eh già, è sempre colpa di qualcos’altro, poverini.
Non va meglio con la vicenda della giovane uccisa dall’ex fidanzato. Qui si abbonda con la ricostruzione delle liti, del delitto, si cercano le lacrime del padre e delle amiche, si commisera, di nuovo si giustifica. C’è poi sottotraccia un messaggio preciso. Siccome la giovane si era innamorata di un clandestino senegalese, si cerca nel passato di lei l’evento che l’ha fatta deragliare dal buon senso portandola prima ad abbandonare l’università, poi a fidanzarsi con quell’ «Uomo ridicolo», come lo descrivono le amiche di lei. Anche qui gli autori ci dicono che il clic avviene quando la mamma della giovane muore e lei, a poco a poco, si stacca dalla famiglia.

Poi c’è l’affondo finale, l’appello della seconda moglie del padre che si chiede: «Perché non ne sei uscita? Perché non ti sei ribellata? Perché gli hai permesso di farti questo?», come se l’onere della soluzione del problema fosse solo sulle spalle della donna, e non su quelle dell’aggressore il cui gesto viene spiegato così dallo psichiatra intervistato: «Lui non ha accettato il rifiuto per ragioni culturali». In quasi due ore si è riusciti a spettacolarizzare un delitto, a non scavare nelle ragioni profonde che spingono gli uomini a essere violenti, a non dire che sono loro a doversi curare e a farsi domande, a tacere che sul territorio ci sono strutture che aiutano le vittime e ora anche gli uomini maltrattanti, a non raccontare come se ne può uscire, a giustificare le violenze maschili addebitandole a eventi indipendenti dalla volontà, a sottindere che, in fondo, se lei è finita così è perché non ha più ascoltato chi davvero le voleva bene. Se lo scopo di Amore Criminale era usare la violenza contro le donne per fare spettacolo, ci sono perfettamente riusciti.

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