Ci battiamo da anni contro un sistema carcerario fuorilegge, per l’amnistia, l’indulto, insieme a decine di associazioni.Oggi ci è inibito da larga parte delle sinistre.
È inutile precisare,con argomenti e scienza giuridica che Berlusconi non potrebbe fruire delle nostre proposte di amnistia. Ha ragione Bascetta: nel nome del cosiddetto «antiberlusconismo» il merito di ogni questione, ogni principio può essere sacrificato,lasciando campo libero al giustizialismo populista e all’ipertrofia punitiva in un carcere diventato sempre più una struttura classista. Sento, allora, il dovere di aggiungere la mia modesta testimonianza alle argomentazioni di Pepino, Gianni,Corleone, Gonnella, Romeo. Forse possiamo cogliere l’occasione per squarciare ipocrisie,per aprire, dopo anni di rimozione istituzionale, finalmente, un «dibattito sul diritto penale che vogliamo e sulle modalità di gestione del conflitto sociale». Terreni su cui le sinistre hanno fatto bancarotta e che ritengo, invece, fondativi per la costruzione di una sinistra alternativa. Non sono temi collaterali, da specialisti marginali, così come, ad esempio, non lo è l’organizzazione dei migranti. Ritengo, anzi, che il contesto, con la connessione tra crisi del liberismo, recessione, postdemocrazia (il capitale pretende, e ottiene dalle maggiori forze politiche, una ex democrazia costituzionale) ci induca ad assumere la centralità della campagna per l’«amnistia sociale»(bene illustrata da Romeo sul manifesto qualche giorno fa). Parlo della guerra che il potere ha aperto contro migranti, movimenti, settori sindacali, militanti politici, grumi di resistenza sociale. Vengono applicati spesso, contro ragazze e ragazzi, figure di reato (devastazione,saccheggio) inusuali, che Mussolini pretese per gli oppositori del regime. Correttamente Pepino scrive di un’amnistia che guarda al futuro «perché sia l’anticipazione di un sistema penale diverso che includa i reati che stigmatizzano le persone ma escludendo quelli che destano allarme sociale.Come i reati fiscali». Va combattuto il paradigma impostosi negli anni del «diritto del nemico» (il «nemico migrante clandestino» ne è metafora, per le legislazioni emergenzialiste, ma anche per le ordinanze di tanti sindaci, anche del Pd). Ho vissuto di persona l’amnistia (che Pepino descrive) del’70. Essa da un lato proiettò la sua forza politica sul miglioramento della generale condizione carceraria (è sempre cosi:i provvedimenti di clemenza preparano ed agevolano riforme strutturali), dall’altro lato ricostruì un equilibrio sociale che era stato rotto dalla repressione di stato contro conflitto operaio, agrario, studentesco. Proprio qui siamo ora. Denunce di attivisti sociali, condanne, penalizzazione e carcerizzazione di circa ventimila persone (in quotidiana crescita), colpevoli di lotta di classe, a cui viene impedito il già aspro percorso lavorativo, con applicazione di misure dettate da una logica strisciante, anche negli apparati statali, di «stato di eccezione», di «stato penale» (fogli di via,sorveglianze speciali,ecc.). La Val Susa e tutte le zone di insediamento di discariche, inceneritori, grandi abnormi impianti sono diventate «zone rosse» (a controllo e disciplina militare); e il diritto di resistenza,anche il più aspro, contro la militarizzazione è dentro i principi della legalità internazionale. Le fabbriche in lotta (da Pomigliano alla Irisbus) sono militarmente presidiate. Le lotte per il diritto all’abitare diventano associazioni sovversive. E così via. La guerra giudiziaria contro la critica del potere agita concretamente i mille rivoli carsici nei territori. Con la proposta di «amnistia sociale» ci richiamiamo a diritti costituzionali vissuti, non solo proclamati. Posso permettermi di proporre che anche questo tema sia assunto all’interno dell’importante «via maestra» del 12 ottobre?