Un’amnistia a misura di Silvio Berlusconi? «Penso proprio di no». La Guardasigilli Annamaria Cancellieri, intervenendo su Radio24, esclude in modo piuttosto convinto un provvedimento di clemenza così ampio da poter «salvare» anche l’ex premier condannato in via definitiva a quattro anni di reclusione nel processo Mediaset e, in primo grado, a sette anni per Ruby (sei più uno, prostituzione minorile e concussione).

La ministra di Giustizia, che spera di mettere a punto in un paio di mesi al massimo un pacchetto di proposte e leggi delega per affrontare i nodi del sovraffollamento penitenziario e della lentezza dei processi penali e civili, si muove – con «idee chiare», dice – verso un proposta di legge di amnistia e indulto che punti soprattutto ad alleggerire la popolazione carceraria di quelle 20 mila unità circa in eccesso rispetto alla capienza regolamentare (47.615 a fronte di 64.758 detenuti alla fine di settembre). Ma in Parlamento e anche fuori (i Radicali, per esempio) c’è chi invece vorrebbe calibrare l’amnistia piuttosto sul numero di processi pendenti supportabili dal nostro sistema giudiziario (attualmente sono circa 9 milioni, penali e civili). In questo modo si apre la strada – contrariamente a quanto suggerirebbe il buon senso – ad un’amnistia più “ampia” dell’ indulto.

E infatti dei due disegni di legge al momento depositati in commissione Giustizia di Palazzo Madama, quello firmato dal senatore Lucio Barani ha maggiore appeal in Parlamento, anche se per accelerare i tempi la ministra Cancellieri ha già ventilato l’idea di «eliminare la maggioranza di due terzi necessaria ad approvare l’amnistia e l’indulto».

Il testo di Barani (socialista fuoriuscito dal Pdl per costituire il gruppo Grandi autonomie e libertà), depositato da un paio di giorni, è decisamente di manica larga, se paragonato ai precedenti provvedimenti di clemenza: l’amnistia si estende a qualunque tipo di reato con pena edittale massima di sei anni di reclusione con la sola ed unica esclusione dei gravi reati associativi e di terrorismo.

Nel computo per l’applicazione dell’amnistia (art.2) si tiene conto delle pene dovute alle aggravanti e alle attenuanti ma non alla recidiva. Più in sintonia con le ultime amnistie emanate (quella del 1990 o le 12 precedenti, dal 1953 in poi) è invece il ddl in cui sono confluite le proposte dei senatori Compagna (Gal) e Manconi (Pd), già calendarizzato in commissione, che si ferma ad una pena edittale di quattro anni ma, differentemente dal testo di Barani, prevede una serie di estensioni per reati minori (dalla diffamazione a mezzo stampa, alla truffa militare, fino alla violazione dell’articolo 73 della legge sulle droghe).

L’indulto invece, nel ddl Barani, si applica ai reati con pene edittali fino a 5 anni (4 anni nel testo di Compagna e Manconi) ed estingue anche le pene accessorie con la sola esclusione dei reati di strage e devastazione e saccheggio. Ma si estende addirittura fino agli 8 anni di reclusione per i reati di criminalità organizzata purché il condannato «faccia completa divulgazione di tutti i fatti rilevanti relativi ai reati commessi». Un comma, questo dell’articolo 3, che ha già fatto saltare più di qualcuno dalla sedia. Ma il senatore Barani, che ha già fatto sapere comunque di essere «disponibile a qualsiasi modifica migliorativa», si difende spiegando che la norma «è funzionale a far luce sui grandi misteri italiani, da Moro a Ustica, alle stragi di mafia».

Paradossalmente così si potrebbe salvare Berlusconi (che amnistiato dei reati, benché decaduto dalla sua precedente carica di senatore, potrà sempre ricandidarsi, mentre avendo già usufruito dell’indulto del 2006 non potrà contare su altri sconti di pena) ma non i manifestanti accusati di devastazione e saccheggio per i fatti del corteo del 15 ottobre 2011, solo per fare un esempio.

Poco male, comunque: se perfino in Russia il presidente del consiglio Mikhail Fedotov ha annunciato ieri un provvedimento di amnistia che potrebbe scarcerare anche le Pussy Riot, possiamo anche noi turarci il naso e accettare perfino il ripescaggio del Cavaliere. Sperando di affondarlo nell’urna.