Non arriverà tanto presto il «momento di maggiore serenità» che Giorgio Napolitano sta aspettando per inviare al parlamento il suo messaggio sulla situazione delle carceri italiane. Il presidente della Repubblica lo annuncia a Napoli, davanti ai detenuti e agli agenti di custodia del carcere di Poggioreale: ha pronto l’unico passo che ancora gli resta da fare per stressare quelal che da due anni considera «la prepotente urgenza costituzionale e civile» della carceri. Manderà alle camere un suo messaggio formale, un potere che la Costituzione gli riconosce (articolo 87) ma che non ha mai utilizzato, preferendo gli interventi pubblici. Chiederà una riflessione del parlamento su «un provvedimento di amnistia e indulto».

Intanto a Roma tutto precipitava e l’attenzione di Napolitano doveva rapidamente tornare a concentrarsi sul governo e sulla sua crisi. Ma il segnale da Poggioreale è giunto chiaro, non a caso sottolineato dai forti applausi dei detenuti. Ed è il segnale di un cambiamento di linea anche al Quirinale, dove fino a ieri si era esclusa la possibilità di utilizzare il messaggio alle camere – strumento del resto poco impiegato dai presidenti della Repubblica che hanno sempre preferito altri tipi di interventi pubblici. Adesso invece, sempre che le condizioni politiche lo consentano, visto che è necessario «che venga ascoltato, letto e meditato con tutto il necessario sforzo e coraggio», Napolitano porrà al parlamento il problema dell’indulto e dell’amnistia con un messaggio formale. Se non lo ha fatto finora è perché temeva proprio di sparare un colpo a salve. Giusto un anno fa (27 settembre 2012) il presidente riceveva al Quirinale una delegazione dei 139 firmatari di un appello scritto dal costituzionalista Andrea Pugiotto, nel quale gli si chiedeva proprio di investire formalmente le camere del problema carceri. Il presidente spiegò allora (lo si può leggere nel recente Volti e maschere della pena a cura dello stesso Pugiotto e di Franco Corleone) che in assenza di un accordo politico sull’amnistia riteneva controproducente inviare un messaggio formale: «Talvolta il messaggio è stato addirittura ignorato, indebolendo così l’autorevolezza del presidente della Repubblica». Quasi mai, aveva aggiunto il capo dello stato, al messaggio era seguito un atto legislativo. E infine, nell’epoca di internet, le camere non hanno certo bisogno di una lettera formale per sapere come la pensa il presidente, che sulle carceri interviene ogni volta che può.

Evidentemente Napolitano ha cambiato opinione sull’utilità del messaggio formale. E l’ha fatto per le ragioni che lui stesso ha spiegato a Napoli. Intanto «l’imperativo umano e morale» di porre rimedio al sovraffollamento. «Non è giustizia – ha detto il presidente ai detenuti – l’essere costretti a scontare la pena nel modo in cui voi la scontate, non è giustizia e non è Costituzione». Poi c’è da rispettare «l’obbligo giuridico, europeo e nazionale» che incombe sul nostro paese. Che, a seguito della sentenza pilota della Corte europea dei diritti dell’uomo sul ricorso Torreggiani, ha tempo fino a al 28 maggio 2014 per rimediare alla lesione «strutturale e sistemica» dei diritti umani provocata dal sovraffollamento carcerario. Sono centinaia i ricorsi a Strasburgo dei detenuti, l’Italia, già condannata per centinaia di migliaia di euro, rischia condanne per milioni. Come uscirne? Le proposte arriveranno entro la fine di novembre da una commissione di studio istituita dalla ministra Cancellieri, lei stessa favorevole all’amnistia. Riguarderanno sicuramente sia gli aspetti «quantitativi» della detenzione in Italia – le carceri che scoppiano – che quelli «qualitativi», e cioè il fatto che i detenuti sono quasi sempre costretti nelle celle e non avviati al lavoro. Ma l’emergenza è tanto «prepotente» che solo amnistia e indulto consentirebbero l’inversione di rotta necessaria. Due strumenti ordinari che la riforma costituzionale del ’92 ha reso quasi impossibili, richiedendo per l’approvazione la maggioranza dei due terzi degli eletti in ciascuna camera e in ciascuna votazione. Un consenso «molto ampio – ha detto Napolitano – forse troppo ampio».