Giorgio Napolitano è deciso a rimettere in campo con massima forza il tema del sovraffollamento carcerario ed è tutt’altro che rassegnato a subire la procedura europea che scatterà inevitabilmente il 28 maggio, termine indicato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per riparare a una condizione della patrie galere che per l’Europa è, senza mezzi termini, una forma di tortura.

Ufficialmente il capo dello Stato non ha più affrontato lo spinosissimo tema dopo il suo messaggio alle camere, lasciato cadere nel vuoto dalle forze politiche. Ma non si è arreso. Nell’incontro con la delegazione di Forza Italia della settimana scorsa ha messo la questione tra le principali scadenze dell’agenda politica per i prossimi mesi. Domani presenzierà, al Senato, al convegno sul tema «La clemenza necessaria. Amnistia, indulto e riforma della giustizia», organizzato dalla commissione Diritti umani di palazzo Madama e dalla delegazione italiana presso l’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa presieduta da Sandro Gozi, presentatore della proposta d’amnistia alla camera. Con quella di Luigi Manconi, presidente della commissione del senato, sarà proprio la relazione di Gozi ad aprire il convegno.

All’incontro ci saranno i presidenti delle camere e la ministra della Giustizia, notoriamente favorevole all’amnistia. Gli inviti informano solo che Napolitano «sarà presente». In realtà nei giorni scorsi il capo dello stato si è fatto inviare copia degli interventi: segno che sta considerando molto seriamente la possibilità di non limitarsi a presenziare ma di prendere la parola per rilanciare in pompa magna la proposta di un intervento capace decongestionare le prigioni. Non potrebbe che trattarsi di una misura di amnistia e indulto. Accompagnata, a differenza che nel 2006, da una riforma del sistema carcerario che impedirebbe all’amnistia di offrire solo un momentaneo sollievo.

Del resto, anche in queste settimane di silenzio e apparente distrazione le voci dal Colle non hanno mai mancato di segnalare che il presidente, sia per ragioni etiche sia perché convinto di dover evitare la procedura d’infrazione, resta convinto della necessità di affrontare una volta per tutte il nodo delle carceri. Se dopo il messaggio a vuoto ha taciuto, è stato probabilmente perché riteneva necessario che si concludesse prima la saga della decadenza di Berlusconi. Fino a quel momento, nominare l’amnistia avrebbe comportato un fuoco di sbarramento incrociato insuperabile.

Ora invece Napolitano può contare su un fronte di tutto rispetto, composto dal governo, dal centrodestra (purché naturalmente fosse lasciata aperta almeno la possibilità di inserire la situazione del condannato Silvio fra quelle amnistiabili), da Sel e, soprattutto, da una parte del Pd. Nonostante il pronunciamento negativo del futuro segretario Matteo Renzi, una parte dei democratici è decisa, una volta incamerata la decadenza del Cavaliere, a cogliere l’occasione per sottrarsi al ricatto giustizialista a cui soggiace da ormai un ventennio.

C’è infine un ulteriore motivo che potrebbe spingere il Colle a premere per l’amnistia. L’ipotesi di una simile misura (purché riguardasse anche Berlusconi), coniugata con un rinvio sino a gennaio e oltre della sentenza della Consulta sulla legge elettorale, rappresenterebbe una difesa invincibile contro l’ipotesi di giorno in giorno più temuta che Renzi, dopo l’8 dicembre, colga la prima occasione disponibile per porre fine alla legislatura.

La sfida dell’amnistia resta tra le più difficili, anche se per la prima volta non impossibile. Per vincerla ci vorrebbe il coraggio di non inchinarsi agli umori forcaioli di un’opinione pubblica drogata da anni e anni di propaganda giustizialista. Il coraggio non è precisamente la dote più diffusa tra i politici italiani.