Non usa mezzi termini Amnesty International per definire la violenza contro le donne in Egitto. Secondo il rapporto Circoli infernali. Violenza pubblica, domestica e statale contro le donne in Egitto, «la violenza contro donne e ragazze ha raggiunto un livello impressionante» nel paese nord-africano, sia tra le mura domestiche sia in pubblico, comprese le aggressioni di gruppo e la tortura nei centri di detenzione. Le carenze legislative e un’impunità radicata vengono citate come le prime cause che alimentano l’esecrabile fenomeno, al centro dell’attenzione mediatica dopo le rivolte del 2011.

«In ogni aspetto della loro vita, di fronte alle donne egiziane si presenta lo spettro della violenza fisica e sessuale», argomenta il report. L’analisi del think tank riferisce di gravi violenze a cui le donne egiziane sono sottoposte tra le mura domestiche: vergognosi pestaggi, aggressioni e violenze da parte di mariti e parenti. Mentre in pubblico, le donne subiscono «costanti molestie e aggressioni di gruppo» cui si aggiunge la violenza degli agenti statali, ha dichiarato Hassiba Hadj Sahraoui, vicedirettrice del programma Medio Oriente e Nord Africa di Amnesty.

Negli ultimi mesi, le autorità egiziane hanno annunciato alcune iniziative specifiche, come l’introduzione di una legge contro le molestie. Eppure, nonostante le promesse roboanti del presidente Abdel Fattah al-Sisi (contro di lui il filosofo statunitense, Noam Chomsky ha previsto una «terza rivoluzione»), che come primo atto dopo la vittoria elettorale ha visitato una donna vittima di molestie, non esiste una strategia concreta di contrasto alle violenze sulle donne. Le autorità continuano «a non riconoscerne la dimensione e non assumono le misure necessarie per fermare la violenza contro le donne e la radicata discriminazione nei loro confronti», denuncia Amnesty. Non solo, sono state spesso le autorità a usare il tema della violenza contro le donne per guadagnare vantaggi politici nei confronti dei loro avversari. Ne sono un esempio, le accuse mosse contro i Fratelli musulmani di aver attaccato le donne in piazza Tahrir, rivelatesi strumentali alla loro deposizione.

Oltre il 99 per cento delle donne e delle ragazze egiziane, che hanno preso parte a un sondaggio di UN Women nel 2013, ha riferito di aver subìto una forma o un’altra di molestia sessuale. Le aggressioni sessuali e gli stupri, specialmente al Cairo nel corso delle manifestazioni di piazza Tahrir e dintorni, sono aumentati nel corso delle rivolte che hanno attraversato il paese. «Le vittime sono circondate, spogliate, trascinate via e picchiate, accoltellate e colpite con le cinture. Le autorità non agiscono come dovrebbero per impedire gli attacchi o per proteggere le donne dalla violenza», continua Amnesty.

Il think tank denuncia anche il deplorevole trattamento cui sono sottoposte le donne al momento dell’arresto e durante la custodia. Nessuno dimentica il caso delle 17 attiviste sottoposte a test della verginità nel marzo 2011 dai militari che le avevano arrestate. Molte altre donne hanno riferito di essere state sottoposte a maltrattamenti e torture da parte delle forze di sicurezza durante l’arresto e di aver subito violenze sessuali. Una detenuta ha riferito di essere stata costretta a sdraiarsi di fronte ad altri prigionieri e di essere stata frustata sui piedi. I trattamenti disumani o degradanti non sono risparmiati neanche a molte donne in gravidanza, costrette a partorire ammanettate.

Infine, il sostegno alle donne che hanno subìto violenza sessuale e di genere è pressoché inesistente. Coloro che intendono presentare denuncia devono combattere contro il disinteresse delle forze di sicurezza e della magistratura e l’inadeguatezza delle leggi, che non criminalizzano esplicitamente la violenza domestica e lo stupro coniugale. Una legislazione fortemente discriminatoria in materia di divorzio costringe molte donne a restare intrappolate all’interno di una relazione violenta. Mentre un uomo può divorziare in modo unilaterale e senza fornire giustificazioni, una donna o rinuncia ai diritti in materia economica e accetta il khol (una forma di divorzio in cui al marito non viene addossata alcuna colpa), oppure deve prepararsi ad affrontare una lunga e costosa battaglia legale per provare il danno arrecatole dal marito.