Nel governo Draghi c’è un ministro che denuncia «il rischio di crisi sociale per l’autunno» – e per questo si prende gli strali continui di Bonomi – e ce ne è un altro che continua il suo silenzio impenetrabile mentre milioni di lavoratori pendono dalle sue labbra.
Smentiti di continuo gli screzi fra Andrea Orlando e Daniele Franco, rimangono però i fatti. O meglio: i non fatti.
Dalla riforma degli ammortizzatori sociali alla copertura della quarantena per i lavoratori alle prese l’isolamento fiduciario per Covid; dalla partenza «modello Fca» della nuova compagnia Ita alla fine di Quota 100 per le pensioni, da una parte c’è l’esponente del Pd che chiede e dall’altra c’è il ministro dell’Economia che non risponde. Solo che il tempo passa e i problemi si assommano e non si risolvono.
Il problema più piccolo è quello del rifinanziamento del fondo Inps per la quarantena con Tridico che il 6 agosto ha annunciato non copre più retroattivamente da gennaio. Dopo 22 giorni di silenzio, domenica sera il ministro Andrea Orlando dalla festa de l’Unità di Modena ha spiegato: «Noi abbiamo una valutazione assolutamente favorevole a consentire che la quarantena sia considerata come malattia e, quindi, non gravi sulle imprese e sui lavoratori. Avevamo segnalato la questione nell’ultimo scostamento (di bilancio a giugno, ndr) purtroppo non si sono trovate tutte le risorse necessarie. Nel frattempo – prosegue Orlando «in versione zen» «per evitare polemiche» – credo siano maturate le condizioni perché alcune risorse che erano state impiegate in altra direzione possano essere utilizzate in questo senso. Quindi – conclude la lunga spiegazione – credo ci possa essere una risposta».
«Risposta» che invece – ancora una volta – non arriva dal Mef. Dall’entourage di Daniele Franco filtra il solito refrain: «I lavori sono in corso, è il governo nella sua collegialità che deve prendere una decisione», leggasi: deve decidere Draghi. Peccato che – nonostante l’intero arco parlamentare, buon ultima Meloni, si sia schierato per il rifinanziamento – l’argomento non sia all’ordine del giorno del prossimo consiglio dei ministri. Con il rischio concreto che i lavoratori alle prese con quarantene lunghe possano vedersi lo stipendio tagliano «fino a 1.000 euro», come stima Uninimpresa.
Questione molto più complessa ma sulla quale c’è lo stesso silenzio del Mef riguarda la riforma degli ammortizzatori sociali. In questo caso l’entourage di Franco aveva promesso che la riforma messa a punto da Orlando potesse andare in consiglio dei ministri «a fine luglio». Da parte sua Orlando è ancora fiducioso: «Siamo in attesa di chiarire alcuni temi che sono emersi dal confronto delle parti sociali e in base a questo discutere con il ministero dell’Economia quali risorse saranno disponibili. C’è – ha continuato – la volontà di anticipare un lavoro perché ritengo che rispetto ad altri temi questo abbia una priorità assoluta nel momento in cui il Paese riparte ed affronta delle trasformazioni e dei cambiamenti».
In questo caso le resistenze a finanziare i nuovi ammortizzatori «universalistici» non sono tanto di Confindustria, quanto di piccole imprese e cooperative, ora quasi esenti da versamenti. Fra gli 1,5 miliardi risparmiati dal reddito di cittadinanza e i 6-8 che servirebbero per partire con la riforma, resta comunque l’assoluto riserbo del Mef sullo stanziamento possibile.
Unica certezza di questa incredibile situazione: entro il 27 settembre il governo deve presentare al parlamento il Nadef, la nota di aggiornato al Def con il quadro dei conti pubblici e le linee della manovra di bilancio, il cui varo è fissato ora il 20 ottobre. Lì qualcosa Franco dovrà pur scrive, oltre al ritorno – ormai nei fatti – dell’austerità previsto con il passaggio del deficit rispetto al Pil dal 12% di quest’anno al 3% nel 2022.