Troppo impegnati a occuparsi e a perseguitare migranti, rom e poveracci, il Viminale e il suo ministro hanno perso di vista nell’ultimo anno un’emergenza reale, e non di cartapesta come le altre. E’ un vero e proprio tiro al bersaglio, infatti, quello che è in atto giorno per giorno, ora dopo ora, ai danni degli amministratori locali. L’annuale rapporto presentato da Avviso pubblico, network di enti locali per la formazione civile contro le mafie, certifica un exploit: 578 atti intimidatori nel 2018, una minaccia ogni 15 ore, coinvolte 19 regioni, 84 province e ben 309 comuni.

Dal 2011, anno della prima edizione del rapporto in cui furono censiti 212 casi, le minacce sono aumentate del 170%. E da quando si è insediato il nuovo governo, quello “della legge e dell’ordine”, il trend è schizzato alle stelle. Dai 537 casi del 2017, si è passati ai 578 dello scorso anno, il 10% in più. E non vale l’obiezione secondo cui il governo giallonero si sarebbe insediato solo a maggio perchè, anzi, nel secondo semestre si è registrato un vero boom: quasi 200 attentati solo tra aprile e luglio, mesi in cui la media è stata di due al giorno. Nel rapporto 2018, che si è avvalso degli importanti contributi di Stefano Ciafani, Gherardo Colombo e Alberto Vannucci, si segnala una crescita nelle regioni centrali (spicca la Toscana) e del nord Italia. Anche se son sempre le terre di mafia l’epicentro degli attentati.

La Campania per il secondo anno consecutivo si conferma la regione leader con 93 casi (+8% rispetto al 2017). Segue la Sicilia con 87 (+10%). Al terzo posto si conferma la Puglia con 59, poi la Calabria con 56. Bissa il quinto posto anche la Sardegna con 52 eventi (+8%). Al sesto posto la prima regione del centro-nord, la Toscana, che ha raddoppiato il numero di atti intimidatori annuali. L’identikit dell’amministratore è presto fatto: si tratta di un sindaco, di un medio comune del meridione, a cui ignoti aggressori bruciano nottetempo l’auto parcheggiata nei pressi dell’abitazione. L’81% delle intimidazioni censite nel 2018 sono state di tipo diretto (+5% rispetto al 2017), vale a dire che amministratori locali e personale della pubblica amministrazione sono stati minacciati direttamente come persone.

Nel 19% dei casi le angherie sono state di tipo indiretto ovvero prendendo di mira municipi, uffici e strutture di proprietà comunale oppure danneggiando strutture e mezzi adibiti al ciclo dei rifiuti, a servizi sanitari, idrici, elettrici e del trasporto pubblico. La tipologia di minaccia più utilizzata fra i 574 casi del 2018 si conferma l’incendio, ma con un’incidenza percentuale in netto calo.

Aumentano le aggressioni (dal 10 al 15%), le minacce verbali (dal 9 al 12,5 %), quelle veicolate sulle reti sociali (dal 9 al 12%) e le scritte offensive/minacciose (dal 5 all’8 %). Diversamente, si registra un calo delle lettere e dei messaggi intimidatori (dal 14 al 11,5%). Il quadro della tipologia di minacce che ci restituisce il 2018 risulta pertanto più multiforme rispetto al passato. Riguardo al contesto socio-politico emerge che il 12% degli attentati impatta in comuni che, in un passato più o meno recente, sono stati sciolti per infiltrazione mafiosa.

In questi enti, come si evince dalla lettura delle cronache giornalistiche e in alcuni decreti di scioglimento, sono stati registrati ben 68 atti intimidatori. Esistono, infine, intere zone da sempre sotto tiro, territori in cui gli amministratori locali convivono da anni con le intimidazioni, comuni a sovranità limitata che finiscono puntualmente citati nella lunga cronologia di atti minatori che fa da appendice al rapporto.

Analizzando l’archivio del quadriennio 2015-2018, emergono 16 municipi sparsi sul territorio nazionale in cui ogni anno sono state registrate minacce, aggressioni e altri atti minatori contro amministratori. Da Licata a Carmagnola, da Ventimiglia a Gela passando per Ostia, Anzio, Ardea, Pontedera, Cascina, Faenza, Lanciano fino all’estremo sud di Crosia, Carovigno, San Severo, Scanzano e Rosolini, le intimidazioni sono, ormai, connaturate al territorio. A quelle latitudini le ruspe ministeriali sono a motore spento. E il capo con la felpa non fa le dirette facebook.