È il termometro che misura ogni anno la febbre criminale contro gli amministratori. Quest’anno il rapporto “Amministratori sotto tiro” di Avviso Pubblico, network contro mafie e corruzione, è arrivato al suo decennale. E il 2020 non è stato un anno qualsiasi. La pandemia ha condizionato la quantità degli atti aggressivi ma anche la qualità dell’azione, i suoi artefici, i moventi.

I dati complessivi di questi dieci anni disegnano un paese i cui sono tanti, troppi, gli amministratori locali, dirigenti e funzionari pubblici vittime delle mafie e per questo tuttora sotto scorta, le dimissioni presentate da alcuni di loro a seguito delle minacce, i ritiri precoci dalle campagne elettorali. “Tutto ciò costituisce un enorme vulnus per la democrazia del nostro paese” afferma Roberto Montà, sindaco di Grugliasco e presidente di Ap.

Nel primo anno pandemico sono stati 465 gli atti intimidatori, di minaccia e violenza contro sindaci, assessori, consiglieri comunali e municipali, amministratori regionali, dipendenti della Pa (-17% rispetto al 2019, quando furono 559), registrati attraverso il monitoraggio delle notizie stampa, delle interrogazioni parlamentari, raccogliendo le segnalazioni dei coordinamenti territoriali. Una media di 9 intimidazioni a settimana, una minaccia ogni 19 ore. Sono state 89 le province coinvolte – il dato più alto mai registrato – e 280 i comuni colpiti. Per il quarto anno è la Campania a far registrare il maggior numero di atti, con 85 casi censiti (furono 92 nel 2019). Seguono appaiate Puglia e Sicilia con 55 intimidazioni. In discesa la Calabria (38 casi rispetto ai 53 del 2019), che prosegue una tendenza di alcuni anni.

La Lombardia si conferma la regione più colpita al nord (37 casi, nove in meno del 2019), seguita dal Lazio (36 casi, stabile). Conferme anche a livello provinciale: il territorio più cruento si conferma Napoli con 46 casi, con un incremento del 12% sullo scorso anno. Seguono Salerno (21 casi), Roma (20), Milano e Cosenza (16), Foggia (15), Padova e Lecce (14), Bari e Messina (13). Sul fronte della tipologia di intimidazioni, come detto, si fa sentire l’impatto della pandemia.

I social network, già il terzo mezzo più utilizzato nel 2019, hanno scalato questa spiacevole graduatoria. Le polemiche no vax legate alle restrizioni sono spesso sfociate in insulti, offese, diffamazioni, delegittimazioni dell’operato degli amministratori locali. Non stupisce poi che ad esser sotto tiro sulle pagine social, nelle chat e nelle proteste di piazza appaiano oggi anche giornalisti, medici e ministri, individuati come i principali fautori di politiche – tra cui principalmente l’obbligatorietà del green pass – che impattano sulla quotidianità. La piazza virtuale, già negli anni passati contenitore di varie frustrazioni, durante le fasi più drammatiche della pandemia ha amplificato tali caratteristiche.

Le amministrazioni sono spesso finite in pasto dei leoni da tastiera, a causa di ordinanze emesse e di controlli effettuati per il rispetto delle regole anticontagio. Le aggressioni e gli incendi (18% di casi per ciascuna tipologia) si mantengono stabili. Seguono minacce verbali e telefonate minatorie (12%), lettere, biglietti e messaggi intimidatori (10%), danneggiamenti (9%), scritte offensive (7%), utilizzo di ordigni ed esplosivi (4%), invio di proiettili (2%), spari contro abitazioni ed automobili (1%).

Complessivamente, in questi dieci anni alcuni trend sono emersi più di altri. Si tratta di un fenomeno in netta crescita, c’è un raddoppio dell’incidenza dei casi al centro nord, le intimidazioni sono divenute più multiformi e diversificate, si rileva una maggiore aggressività fisica dei cittadini, il 15% degli atti si verifica in comuni sciolti per infiltrazioni mafiose. E la campagna elettorale si conferma, anno per anno, il periodo più caldo per gli amministratori sotto tiro.