La Macedonia non arretra dalla sua decisione di non far passare i migranti. Anzi, insieme a Slovenia, Croazia e Serbia ha fissato arbitrariamente un tetto di 580 ingressi al giorno, e solo per siriani e iracheni. Ieri sera il cancello di ferro e filo spinato che si trova sul confine si è riaperto per pochi minuti, il tempo necessario per far passare 300 profughi prima di tornare a chiudersi di nuovo. La conseguenza è che al di là della frontiera, in Grecia, la situazione diventa ogni ora più drammatica, con migliaia di migranti in attesa che arrivi il loro turno per passare. A Idomeni, la località che si trova sul confine, ieri se ne contavano più di 5.500, tra i quali diverse centinaia di bambini. Unhcr e Medici senza frontiere, insieme ad alcune ong greche, hanno aumentato il numero delle tende e distribuito sacchi a pelo, ma negli ultimi giorni le condizioni del tempo sono peggiorate e questo rende tutto ancora più difficile. Stessa cosa a Polykastro, una ventina di chilometri a sud del confine, dove in una stazione di servizio si contano ormai più di mille persone in attesa.
Sono circa 25 mila i profughi fermi in Grecia, bloccati dal giro di vite imposto dai paesi balcanici. Una situazione che per ora il governo, grazie soprattutto al contributo fornito dall’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati, riesce a tenere abbastanza sotto controllo ma che potrebbe degenerare presto se nel giro di qualche giorno non si riaprono le frontiere permettendo ai migranti di proseguire il loro viaggio verso il nord Europa. Un’ipotesi che al momento appare difficile anche solo pensare, vista anche l’incapacità dell’Unione europea di imporre le proprie scelte alle capitali dissidenti.
Nel frattempo Atene, che ha ingaggiato una guerra diplomatica con l’Austria, primo Paese a fissare un tetto agli ingressi dei migranti, prova a tamponare l’emergenza. Il governo ha chiesto di rallentare al massimo le partenze dei profughi dalle isole dove però continuano ad arrivare uomini, donne e bambini partiti dalla Turchia, 7.000 solo a Lesbo. Inoltre ha annunciato l’intenzione di voler noleggiare dei traghetti capaci di accogliere 2.000-2.500 persone dove sistemare temporaneamente i migranti. Ma si tratta di provvedimenti che rischiano di risultare abbondantemente insufficienti se sono vere alcune stime che circolano in questi giorni in Grecia e secondo le quali potrebbero servire presto almeno 500 mila nuovi posti letto.
Di fronte a un dramma che potrebbe trasformarsi presto in una catastrofe umanitaria, l’Unione europea non riesce a imporre a Serbia, Macedonia, Slovenia e Croazia un atteggiamento meno ostile verso chi fugge dalla guerra e soprattutto ad imporre a Lubiana e Budapest il principio delle quote di migranti da accogliere come stabilito dalla Commissione europea guidata da Jean Claude Juncker. In Ungheria dove il governo ha annunciato un referendum tra i cittadini proprio sulle quote, i sondaggi danno addirittura i contrari all’accoglienza dei migranti intorno all’80%, un plebiscito per il premier Viktor Orban che è stato il primo in Europa a ordinare la costruzione di un muro per arginare gli arrivi dei profughi. «Se l’Europa un anno fa ci avesse ascoltato, oggi non ci troveremmo in questa situazione», ha detto ieri il ministro degli Esteri Péter Szijjártó. Dimenticandosi però di spiegare cosa ne sarebbe stato del milione e più di migranti entrati in Europa nel 2015.
La chiusura dell frontiere dell’area Schengen potrebbe portare presto i migranti alla ricerca di nuove rotte per arrivare in Europa. E di conseguenza alla costruzione di nuovi muri. Ieri la Bulgaria, uno dei paesi più povero d’Europa, ha reso noto d voler ampliare ulteriormente la barriera al confine con la Turchia, proprio per il timore che, chiusa la rotta balcanica, i migranti possano decidere di marciare dalla Turchia verso nord. Per questo Sofia ha deciso di costruire una recinzione lunga 160 chilometri, cinque volte in più di quanto annunciato inizialmente. I primi 70 chilometri sono già pronti.
Maggiori controlli ai confini, infine, anche in Germania. La Baviera, che da da mesi è in rotta di collisione con la cancelliera Angela Merkel proprio sulla questione rifugiati, vuole infatti ripristinare i controlli con l’Austria se dal vertice previsto per il 7 marzo tra i leader dei 28 e il premier turco Ahmet Davutoglu non usciranno risultati concreti a ad arginare i flussi dei migranti. I dipartimenti di polizia lungo i confini con la Bassa Baviera, Alta Baviera e Svevia avrebbero ricevuto l’ordine di farsi trovare pronti a intervenite nel giro di poche ore se la situazione dovesse cambiare.