Torna Aminta, il testo di Torquato Tasso, favola pastorale in versi, la cui ultima presenza in scena risale giusto a 25 anni fa, ad opera di Luca Ronconi all’Argentina. Antonio Latella ne presenta ora (all’India, ancora stasera e domani) una versione ristretta nei tempi e nel numero degli interpreti, solo quattro, che danno vita ai diversi personaggi. E il lavoro nasce da un training in un paesino delle Marche della zona colpita dal terremoto, Esanatoglia, coprodotto dal circuito dei teatri della stessa regione.

LA SCENA è spoglia, animata e ritagliata continuamente dalle luci e dai suoni (di Franco Visioli), con un unico elemento scenografico che i personaggi racchiude. È un binario circolare, che ne contiene le storie e gli eventi, ovvero soprattutto i sentimenti, in modo quasi invalicabile: Giuseppe Stellato vi fa scorrere, a velocità quasi impercettibile, un proiettore di luce, che illumina o oscura le parole, tuttora molto affascinanti, del poeta rinascimentale. Quasi fosse un «sole» rotante attorno ai «pianeti», ultima spiaggia prima della rivoluzione di Copernico e Galileo. Un ribaltamento anche dei sentimenti, che possono essere estremi quanto inappagati (l’amore tra Aminta appunto e la ninfa Silvia), subire rovesciamenti artificiosi (una situazione di doppia morte suicida e reciproca simile a quella di Romeo e Giulietta nella cripta shakespeariana) e alla fine trionfano come Amore e sua madre Venere fin dall’inizio auspicano pronubi. Latella sfronda Aminta di qualsiasi pastorelleria.

QUESTA VOLTA il testo torna principe della rappresentazione, e gli attori rispondono con impegno e generosità a questo input. Michelangelo Dalisi è molto sicuro nel riportare le parole delle due divinità (la sua Venere per altro compie muta la sua circolare ricognizione temperando maniacalmente matite, quasi fossero i fili delle Parche). Gli altri (Emanuele Turetta, Matilde Vigna e Giuliana Vigogna), tuonano generosamente l’infelicità e i paradossi del destino. Salvo stupire il pubblico nella rapida seconda parte, con chitarra elettrica e grida rock ad alto livello di decibel.
Questo scatena a sua volta un parziale tifo da stadio di una parte del pubblico. Ma nello stesso tempo rischia di disperdere la grandezza di Tasso, che nella favola conchiusa dentro l’eleganza di endecasillabi e settenari, riesce ancora a farci «vedere» dentro quei cuori spezzati e le cruente «conseguenze dell’amore».