Dopo mesi di gossip, scandali, spy-stories stile guerra fredda, messaggi a distanza l’atteso incontro tra Putin e Trump, nella cornice del G20, alla fine si è tenuto.

Incontro atteso non tanto per quanto avrebbe caldeggiato Putin – la politica estera russa è relativamente intelligibile – quanto per comprendere l’approccio che Trump e la sua squadra intendono avere nei confronti del Cremlino.

Non è un mistero che la politica estera della nuova amministrazione statunitense sia stata dominata sin dall’inizio dall’improvvisazione e da spinte centrifughe.

All’incontro hanno partecipato anche i rispettivi ministri degli esteri, Sergey Lavrov e Rex Tillerson. I russi in realtà avrebbe voluto allargare l’incontro ad altri specialisti degli staff ma la Casa Bianca ha rifiutato, trincerandosi dietro la sensibilità degli argomenti da trattare.

Il colloquio serviva ai due leader per annusarsi, ma soprattutto per mostrare le proprie carte su tutti i più scottanti scenari della politica internazionale, con un occhio puntato anche agli altri attori in gioco: l’Unione europea a guida Merkel e il gigante cinese.

Le attese non sono andate deluse. Non si è trattato come alcuni pensavano di un incontro di routine, anzi. Il programma prevedeva un format di 40 minuti ed è invece durato ben 2 ore e 15 minuti.

I due presidenti sembra abbiano trovato una lingua comune su Siria e Ucraina, mentre – come ha ammesso Tillerson – «le distanze sulla crisi coreana restano significative».

Quando l’incontro era ancora in corso la Associated Press ha fatto trapelare la notizia, citando membri dello staff americano, che «gli Usa e la Russia hanno raggiunto un accordo per un cessate il fuoco nella Siria sud-occidentale a partire dal mezzanotte del 9 luglio».

L’accordo prevede anche il coinvolgimento di Israele e Giordania. Un segnale forte dopo che le trattative di Astana tra Turchia, Russia e Iran per la «de-escalation» in Siria erano fallite qualche giorno fa.

Dopo il meeting il presidente americano si è recato a cena accompagnato da Melania senza fare dichiarazioni mentre Putin ne ha rilasciata una breve a margine dell’incontro con il premier giapponese.

«Ho avuto una lunghissima discussione con il presidente degli Stati uniti. Abbiamo affrontato molte questioni come la Siria, l’Ucraina… Siamo tornati sulla questione della lotta al terrorismo e della cyber-security», ha affermato il presidente russo.

Molto più ciarlieri i ministri degli esteri. Il segretario di Stato Tillerson, nel confermare il cessate il fuoco nel sud-ovest della Siria, ha dichiarato che «questo primo risultato potrebbe condurre a una più estesa collaborazione in Siria per giungere a una transizione che eventualmente porti alla emarginazione di Assad».

Un «dettaglio» clamoroso, non confermato dal Cremlino. Putin, in un’intervista a Fox News aveva fatto baluginare questa ipotesi («La Russia in Siria non difende tanto Assad quanto l’unità statale del paese»), improbabile visti gli interessi russi nella regione.

Trump, probabilmente a uso dell’opinione pubblica americana, è poi tornato sulle presunte interferenze russe nella politica interna statunitense, un’accusa che Putin ha rispedito cortesemente al mittente, negando «qualsiasi tentativo passato o presente di condizionare la vita politica del vostro paese».

Sergey Lavrov il capo della diplomazia russa, da parte sua ha dichiarato che «l’incontro è stato molto concreto» e potrà condurre a novità importanti non solo sul piano bilaterale. Infatti gli Usa sembrerebbero intenzionati a tornare protagonisti nella crisi ucraina.

Secondo quanto afferma la sempre ben informata agenzia russa Ria Novosti, gli Stati uniti sono intenzionati a fare pressione sul presidente Poroshenko perché – in cambio di sostanziosi investimenti americani nell’agricoltura ucraina – acceleri la regolazione pacifica della crisi del Donbass.

La piattaforma di un accordo secondo Lavrov resterebbe quella già definita: «Andremo a creare un canale di comunicazione con i rappresentanti americani per utilizzare ogni risorsa per risolvere la crisi ucraina sulla base degli accordi di Minsk e usare tutte le potenzialità che esistono nel gruppo di contatto e nel Formato Normandia» ha specificato il ministro degli esteri del Cremlino.