Le morti dell’Olivetti si potevano evitare, i vertici dell’azienda trascurarono i problemi legati alla presenza di amianto e intervennero in ritardo o in modo insufficiente. Per questo il tribunale di Ivrea, rappresentato dalla giudice Elena Stoppini, ha condannato a 5 anni e due mesi di reclusione Carlo e Franco De Benedetti, a 1 anno e 11 mesi Corrado Passera e ha assolto Roberto Colaninno. Le imputazioni, a vario titolo, vanno dal concorso in omicidio colposo alle lesioni e si riferiscono ai decessi di 10 operai, fra il 2008 e il 2013, che fra la fine degli anni Settanta e l’inizio dei Novanta lavorarono negli stabilimenti dell’azienda eporediese e si ammalarono di mesotelioma pleurico.

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Carlo De Benedetti

I condannati in primo grado, 13 in tutto, sono dirigenti o top manager degli anni Ottanta, ovvero il periodo incriminato e sotto la lente degli investigatori. La procura aveva chiesto la condanna per 15 dei 17 imputati. Gli indennizzi (provvisori) alle parti civili ammontano a quasi due milioni di euro. L’inchiesta che ha portato al processo era stata aperta nel novembre del 2013 dalla procura di Ivrea.

Carlo De Benedetti, presidente del gruppo Espresso, l’imputato più illustre, è stato chiamato in causa come amministratore delegato e presidente dal 1978 al 1996 ed è stato riconosciuto responsabile (a titolo colposo) di sette decessi e di due casi di lesioni. L’ingegnere ha subito annunciato ricorso in appello: «Sono stupito e molto amareggiato per la decisione del tribunale di Ivrea di accogliere le richieste manifestamente infondate dell’accusa». Ha aggiunto: «Sono stato condannato per reati che non ho commesso, come ha dimostrato l’ampia documentazione prodotta in dibattimento sull’articolato sistema di deleghe di gente in Olivetti e sul completo e complesso sistema di tutela della sicurezza e salute dei lavoratori, da me voluto e implementato fin dall’inizio della mia gestione».

Le parti civili – familiari delle vittime, enti, associazioni, sindacati – hanno ottenuto il diritto a chiedere i danni in un procedimento separato. Il giudice ha però ordinato il pagamento immediato di una provvisionale alle persone fisiche (855 mila euro in tutto) e all’Inail (993 mila euro) da versare «in solido» con Telecom Italia, il gruppo che nel 2003 ha inglobato Olivetti, citata come responsabile civile. «Esprimiamo grande soddisfazione perché dopo un dibattimento molto duro e combattuto, soprattutto da parte delle difese, è emersa la verità ed è stata data giustizia alle vittime», ha sottolineato Laura D’Amico, avvocata della Fiom.

Soddisfatto il segretario provinciale delle tute blu della Cgil, Federico Bellono: «Nulla può restituire ai propri familiari i lavoratori scomparsi ma almeno questo processo ha fatto giustizia ed è significativo che le pene più severe siano state comminate alle figure di grado più elevato, che avevano le maggiori responsabilità nel dirigere l’impresa. Questa sentenza è però solo la chiusura di un capitolo, non solo perché le statistiche dicono che purtroppo le persone continueranno ad ammalarsi e morire anche nei prossimi anni, non solo perché sicuramente le difese ricorreranno in appello, ma anche perché sono già in stato avanzato i lavori istruttori di processi per altre morti di amianto in Olivetti».

L’Olivetti è storicamente un simbolo positivo, non solo a Ivrea. Si tratta di una sentenza che «fa chiarezza» ma che «non cancella la storia della Olivetti», ha voluto evidenziare il sindaco di Ivrea, Carlo Della Pepa. L’idea diffusa nel capoluogo eporediese è che sia stata processata un’altra Olivetti, non quella di Adriano e dei vecchi dirigenti.

Anche i pubblici ministeri, nel corso del processo, avevano tracciato una cesura fra le due Olivetti. Da una parte l’impresa di Adriano Olivetti, creatrice di macchine per scrivere vendute in tutto il mondo, modello di «fabbrica umanista» dove il lavoratore veniva prima di ogni altra cosa, le paghe erano più alte, il profitto andava di pari passo con la solidarietà sociale e l’operaio poteva ritrovarsi a camminare fianco a fianco con l’artista, il poeta e lo scrittore. Dall’altra, l’azienda degli anni Ottanta, quella dei finanzieri, che trascurò la salute e la sicurezza dei propri dipendenti.