«Chi, trovandosi in questo momento in Italia, abbia commesso atti di tortura può, nella grande maggioranza dei casi, dormire sonni tranquilli. E fino a che non ci sarà un reato di tortura, punito severamente e con un termine di prescrizione lungo, le cose sono destinate a rimanere così». Fotografa perfettamente la realtà, Antonio Marchesi, presidente della sezione italiana di Amnesty International, nel presentare il Rapporto 2015-2016 «Diritti in pericolo, assalto globale alle libertà».

L’impunità per un reato che proietta l’Italia nello stesso cono d’ombra dell’Egitto – dove Abu Omar, rapito a Milano, fu condotto e torturato, anche se ne uscì vivo, al contrario di Giulio Regeni – è uno dei dieci punti dell’Agenda dei diritti umani di Amnesty che riguarda il nostro Paese presentata all’inizio dell’attuale legislatura e sottoscritta da 118 parlamentari.

La «mancanza di misure di prevenzione degli abusi di polizia» è, secondo AI, una delle «insufficienze più gravi», che ci fa entrare nel triste catalogo degli «oltre 122 Stati che hanno praticato maltrattamenti o torture» e dei «30 paesi, se non di più, che hanno rimandato illegalmente rifugiati verso Paesi in cui sarebbero stati in pericolo».

Carenza alla quale il Parlamento non vuole mettere riparo: «La commissione Giustizia del Senato, prima ha reso impresentabile la definizione di tortura contenuta nel ddl in discussione – si legge nel rapporto, con riferimento al testo approvato dalla Camera nell’aprile 2015 – poi, e da diversi mesi ormai, ha smesso di parlare dell’argomento, secondo un copione che è sempre lo stesso, legislatura dopo legislatura».

Al Senato si è incagliata anche la legge approvata dai deputati nel 2014 sull’omofobia e la transfobia, reati che rimangono impuniti in un Paese che non riesce nemmeno a riconoscere pari diritti alle coppie omo e eterosessuali.

Nell’Agenda di Amnesty trova posto il problema del trattamento discriminatorio delle popolazioni Rom, confermato dalla condanna che il tribunale di Roma ha comminato al Campidoglio per la segregazione in campi monoetnici e la discriminazione nell’assegnazione degli alloggi.

Diritti umani a rischio anche nell’accoglienza di immigrati e rifugiati, con particolare «preoccupazione» espressa dall’associazione per «le prassi adottate» nel «nuovo approccio hotspot», e per il reato di clandestinità che «ancora esiste formalmente nell’ordinamento italiano, nonostante la volontà contraria del Parlamento», solo perché il governo non attua la delega ricevuta «con la motivazione, francamente incredibile, che “gli italiani non capirebbero”».

Infine, last but not least, è il problema dell’«esportazione di armi verso Paesi dove vengono utilizzate per violare il diritto umanitario con azioni armate non autorizzate dall’Onu». Denuncia il rapporto: «Nel corso del 2015 e dell’inizio del 2016 bombe e sistemi militari sono stati trasferiti dall’Italia all’Arabia Saudita», il cui governo «è responsabile di gravi violazioni dei diritti umani», e che è «attualmente impegnata in un’azione militare in Yemen, nel quadro di un conflitto caratterizzato da attacchi indiscriminati contro le infrastrutture civili (a cominciare dalle strutture sanitarie e dalle scuole)». Per il governo Renzi «è tutto regolare, tutto a posto», riferisce AI.

D’altronde non è la prima volta che l’Italia chiude entrambi gli occhi di fronte alle brutalità dei Paesi cosiddetti «alleati». L’Egitto insegna. Ma Amnesty insiste, e chiede «l’immediata interruzione di ogni ulteriore consegna di armi all’Arabia Saudita».