L’America latina ha tante facce. Come ci ha ammonito lo scrittore cubano Alejo Carpentier, in questa porzione di mondo c’è il «reale meraviglioso» che rende labile la frontiera tra cruda realtà, fantasia e immaginario. Il libro recente di Gabriella Saba e Alberto Somoza prova a raccontarcene alcune di queste facce: Un continente da favola (Rosenberg & Sellier, pp. 182, euro 16).
Sin dalla suddivisione in sezioni, si intuisce che la finalità non è presentare una lettura scontata o a tesi sulla fenomenologia latinoamericana, quanto fornire i materiali per una lettura più complessa. Si va dai «signori del male» (i nazisti che hanno trovato ospitalità nel dopoguerra, ai capi dei narcos) a «dalla periferia a Hollywood» (da Carlos Gardel a Violeta Parra), da «la rivoluzione non è un pranzo di gala» (da Augusto César Sandino a José Martí) a «eroi per caso e per passione» (da Pancho Villa a Juana Azurday), da «predicatori e telenovelas» (due fenomeni marcatamente latinoamericani) fino alla «ricerca dell’utopia» (da Pepe Mujica a Chico Mendes). Originale è anche la scelta del genere di scrittura: non un unico saggio, bensì trenta ritratti appassionanti di altrettanti personaggi che fanno storia e contemporaneità dell’intera America latina.

Scopriamo così che Roberto Suárez Goméz è «il più grande narcotrafficante di tutti i tempi» che puntava a fare della cocaina un esclusivo mercato d’élite per tenerne alto il prezzo ed evitare la circolazione di droghe scadenti (c’è un mondo da scoprire dietro i narcotrafficanti). O che il guatemalteco Efraín Ríos Montt è stato «il primo dittatore latinoamericano a venire condannato per crimini di lesa maestà, però non ha scontato un giorno di pena» dopo la sentenza di condanna del 2013. O ancora che il mitico Carlos Gardel, mitico cantore del tango, forse è nato in Francia e non in Argentina.
Le curiosità di questo libro, che sono molteplici, non riguardano solo il passato remoto. È efficace per esempio lo schizzo della personalità di Antanas Mockus che diventato sindaco nel 1995 di Bogotà ne ha cambiato la fisionomia sociale e culturale con un programma che all’inizio sembrava irrealistico e visionario. Altrettanto interessante è il ritratto di Álvaro García Linera, «il teorico del marxismo andino», pragmatico vicepresidente del boliviano Evo Morales.

ANDANDO INDIETRO, è emozionante il racconto della breve vita di Miguel Humberto Enriquez, dirigente del Mir in Cile, la componente di estrema sinistra nel periodo di Salvador Allende, ucciso dai militari. Non scontato è il racconto del messicano Pacho Villa, un brigante diventato con Emiliano Zapata leader della prima rivoluzione in America latina e capace di espropriare le grandi proprietà: un simbolo per chi lottava per il proprio riscatto.
La lettura di questo volume aiuta pure a capire la complessità politica latinoamericana dove novità progressiste, accanto ad altre dichiaratamente di alternativa, si erano concentrate da qualche anno. Con poche eccezioni, i risultati delle elezioni registravano infatti il prevalere dello spostamento a sinistra dell’orientamento dei singoli governi. Tale panorama politico non era ovviamente univoco nei contenuti e nelle direzioni di marcia, ma la pluralità di riferimenti sembrava voltare pagina all’alternativa o fuochi guerriglieri o dittature militari o governi neoliberisti.

LA POLITICA però procede per cicli. Mentre nell’ultimo ventennio la sinistra variamente intesa arretrava in Europa e in altre zone del pianeta, in America latina mieteva successi come mai prima era avvenuto. L’ex metalmeccanico Lula vinceva le elezioni presidenziali in Brasile nel 2002, seguiva Nestor Kirchner in Argentina, poi Hugo Chávez in Venezuela, Evo Morales in Bolivia, Rafael Correa in Ecuador, Daniel Ortega in Nicaragua (ci sarebbe però tanto da scrivere sulla parabola del personaggio Ortega), José Mujica in Uruguay. Tornava alla presidenza Michelle Bachelet in Cile e perfino il Paraguay conosceva una stagione progressista mentre si avviavano trattative di pace tra governi e guerriglie in San Salvador, Guatemala e Colombia. Prendeva corpo di conseguenza una nuova spinta verso la cooperazione e l’unità latinoamericana. Da qualche tempo si ha invece l’impressione che il ciclo del cambiamento si stia esaurendo. Prima la vittoria dei peronisti di destra in Argentina con Mauricio Macri, poi il golpe istituzionale in Brasile che ha portato all’impeachment contro la presidente Dilma Roussef e all’arresto di Lula, poi ancora le notizie che giungono dal Venezuela in ginocchio per una devastante crisi economica.
In America latina si sta tornando dunque al dominio di governi conservatori, un po’ liberisti e un po’ populisti? Tuttavia questa zona del mondo resta comunque «da favola», con le sue ambiguità e contraddizioni, come scrivono Gabriella Saba e Alberto Somoza.