L’ordine esecutivo annunciato ieri dalla Casa bianca delinea una radicale «inversione a U» delle politiche ambientali americane col potenziale per incalcolabili conseguenze a livello globale. Dopo lo smacco subíto sull’abrogazione di Obamacare, Donald Trump prende di mira le iniziative energetiche del suo predecessore con un decreto che annulla la direttiva che obbligava ogni agenzia federale a prendere in considerazione costi e conseguenze ambientali in ogni iniziativa ministeriale. Il decreto di Trump invece concretizza una filosofia anti ambientale che privilegia «l’economia» (gli interessi industriali) sulla protezione dell’ambiente.

Come ha dichiarato un portavoce a della Casa bianca con perentorio nonsenso trumpista, «la prosperità è la migliore garanzia di una ambiente sano».

LA NUOVA FILOSOFIA guida della maggiore economia planetaria sarà dunque basata sul fatto che il riscaldamento atmosferico non sussiste o non è imputabile ad attività umane.
Come ha affermato Mick Mulvaney, incaricato del bilancio di Trump, «il governo cesserà di sprecare fondi pubblici per evitare il mutamento climatico». Una sanzione ufficiale del negazionismo che mira a smantellare il Clean Air plan con cui nel 2015 Obama aveva portato gli Usa all’avanguardia sulle normative ambientali per il controllo delle emissioni di anidride carbonica.

L’ambizioso progetto Obama mirava a diminuire entro il 2030 le emissioni di CO2 del 32% sui livelli del 2005, incentivando la conversione a fonti rinnovabili e imponendo severi limiti all’inquinamento soprattutto delle centrali energetiche a gas e carbone.

LA LINEA TRUMP è incentrata invece proprio sull’estrazione e combustione degli idrocarburi. «La guerra al carbone è finite» ha scritto in un tweet trionfale il vicepresidente Mike Pence, riprendendo una formula elettorale prediletta dal presidente. «È cominciata una nuova era per l’energia americana». Il radioso avvenire dell’energia americana assomiglia molto – però -alle politiche energetiche degli anni ‘70. Per il momento la nuova epoca si profila come un regalo alla moribonda industria carbonifera (la produzione è diminuita del 27% dal 2005) già vittima non tanto delle norme ambientali quanto di una riconversione di fatto a concorrenti energie rinnovabili e soprattutto al gas naturale di cui gli Stati uniti sono diventati maggiori produttori mondiali a costi ultracompetitivi grazie al boom del «fracking» idraulico e dell’estrazione da fonti bituminose. Trump aveva comunque mirato la propria campagna elettorale populista ai rimanenti 75.000 minatori di carbone che hanno votato per lui e a cui sostiene ora di voler mantenere la promessa di una «rinascita» anacronistica quanto illusoria.

IL NUOVO PROGRAMMA anti-ambientale consiste nella rottamazione integrale di 40 anni di politiche ecologiche comprese regole sull’inquinamento industriale, le emissioni automobilistiche. In precedenza Trump aveva azzerato le regole per l’inquinamento industriale di corsi d’acqua e autorizzato gli oleodotti Keystone e quello Dakota Access, sulle terre Sioux.
Già in conto inoltre la decurtazione di un terzo dei fondi destinati al Environmental protection agency (Epa) ora sotto la direzione di Scott Pruitt, già avvocato a servizio dell’industria petrolifera.

LA ROTTAMAZIONE del suo dicastero comprende programmi di bonifica delle acque di regioni sensibili come la Chesapeake Bay la baia di San Francisco ed il Puget Sound.. Perfino l’ultraconservatore governatore del Wisconsin Scott Walker si è detto interdetto dal taglio del 90% dei fondi previsti per la bonifica dei Grandi Laghi che forniscono acqua potabile a 40 milioni di cittadini.

«Il mutamento climatico è un fatto non un opinione», aveva affermato due anni fa Obama. Il piano Trump rispecchia invece l’idea della scienza come teoria politica alternativa e «partito d’opposizione».

Una concezione che riconferma il Gop come il partito dell’ignoranza ostinata. A differenza della sanità, l’opposizione alla radicale sterzata sull’ambiente non proverrà dalla destra oltranzista, ma da enti locali, associazioni ambientalist e i tribunali federali. Intanto il regime populista che si è instaurato alla guida dell’ultima superpotenza promette danni incalcolabili, soprattutto se, come sembra ormai assicurato, non riuscisse ad adempiere alla diminuzione del 26% delle emissioni di anidride carbonica prevista dagli accordi internazionali di Parigi entro il 2025.

Mentre Cina e India guidano una conversione che l’anno scorso ha visto la diminuzione di due terzi nella costruzione di centrali a carbone, gli Usa ingranano la retromarcia: un ritorno al passato che pregiudica non solo il loro destino.