La spada di Damocle del caos climatico pende sul pianeta anche nella giornata mondiale dell’ambiente, che dal 1974 si celebra il 5 giugno, come momento per «incoraggiare la consapevolezza globale e promuovere l’azione a tutti i livelli».

NEL 2018 GLI EVENTI erano ospitati dall’India e il tema era «Combattiamo l’inquinamento da plastica, una delle grandi sfide del nostro tempo», mentre la celebrazione di quest’anno, tenutasi in Cina, ha avuto per tema l’inquinamento atmosferico, che chiama in causa governi, industria, comunità e individui per il passaggio a tecnologie ed energie verdi, visto che il 92% degli abitanti del pianeta non respira aria pulita, 7 milioni ne muoiono prematuramente, le patologie costano 5.000 miliardi di dollari all’anno e, last but not least, l’inquinamento da ozono potrebbe ridurre i raccolti agricoli di oltre il 25% da qui al 2030.

TUTTAVIA È IL RISCALDAMENTO globale ad attirare l’attenzione di movimenti, politici e perfino tribunali: quelli ai quali ormai si chiede di processare gli Stati che non agiscono. Non per niente, anche quest’anno l’ultimo Climate Change Perfomance Index-Ccci – pagella annuale realizzata da una serie di organizzazioni ambientaliste che monitorano le politiche ambientali di quasi 60 paesi – sulla base di una serie di 14 indicatori -, non se l’è sentita di assegnare a nessuno il podio dei primi tre posti per bravura. La Svezia svetta al quarto; il fanalino di coda è l’Arabia saudita – malgrado la sua Vision 2030?. Ma soffermiamoci su Stati uniti e Italia.

IL CCCI HA MESSO WASHINGTON al penultimo posto, il 59°, fra i peggiori dunque, mentre nel 2017 erano al 43°. Grande accusato della retrocessione, dunque, il «negazionista» Donald Trump. Il quale ieri a Londra ha dichiarato: «Io credo che ci sia un cambiamento del clima». Un altro Saulo di Tarso? In realtà, lo statunitense ha aggiunto sibillino: «Credo che il clima cambi nelle due direzioni. Lo chiamavano riscaldamento globale, ma non funzionava, poi hanno parlato di cambiamenti climatici e adesso di clima estremo». Peraltro, il morbido intervistatore Piers Morgan non gli ha chiesto della sua decisione di ritirarsi dagli accordi di Parigi sul clima.

E NON È MANCATA LA BORDATA trumpiana anti-Cina (paese da 1,38 miliardi di abitanti e fabbrica del mondo, attualmente maggiore emettitore di gas serra in valore assoluto ma non pro capite, e che si pone l’obiettivo a breve di diventare leader nelle rinnovabili): «Gli Stati uniti hanno un’ottima aria, un’ottima acqua, a differenza di Cina, Russia, India, in certe città non si può nemmeno respirare». Trump ha mostrato di confondere i due fenomeni: le emissioni di gas serra e quelle di sostanze che inquinano l’acqua e l’aria.

L’ITALIA È AL 23 POSTO nell’indice del Ccci del 2019. Ieri sono state discusse in Senato varie mozioni a proposito dei mutamenti climatici. Secondo la denuncia della presidente del Gruppo misto e senatrice di Leu Loredana De Petris, non solo fra i senatori c’è chi ha posizioni negazioniste e si confonde fra clima e meteo, ma di fronte alla minaccia più prossima e distruttiva per l’umanità, che indurrebbe a dichiarare lo stato di emergenza climatica (come ha fatto l’Irlanda), «la maggioranza ha approvato una mozione annacquata, parolaia, che rifiuta perfino la richiesta minima di eliminare i sussidi per le energie fossili» -18 miliardi all’anno fra diretti e indiretti secondo Legambiente.

E IL 5 GIUGNO È STATO scelto per lanciare la campagna «Giudizio universale-invertiamo il processo» (www.giudiziouniversale.eu) che precede il deposito, previsto in autunno, della prima causa legale intentata in Italia contro lo Stato per l’inazione di fronte ai cambiamenti climatici. Una causa climatica. Di fronte a un’urgenza che finalmente vede ampie mobilitazioni popolari, in Italia movimenti, associazioni e centinaia di cittadini si sono impegnati in un’azione inusitata: chiedere ai giudici di condannare lo Stato per la violazione del diritto umano al clima.

C’È UN PRECEDENTE di successo, spiega il comunicato della campagna: «In Olanda, nel 2015, un migliaio di persone hanno fatto causa allo Stato per le scarse politiche climatiche, vincendo il ricorso in primo e in secondo grado con sentenze di condanna che impongono al governo di rivedere i suoi piani». Del resto c’è un boom di contenziosi ambientali: «In 25 paesi del mondo la società civile ha citato in giudizio in un migliaio di casi Stati, imprese e progetti dal forte impatto climatico». E siccome anche «l’Italia ha obiettivi di riduzione delle emissioni scarsamente ambiziosi», serve «un deciso cambio di passo per invertire la rotta nei prossimi 11 anni», oppure enormi aree del pianeta subiranno impatti sempre più devastanti; chi già ne soffre di più sono le comunità più deboli e impoverite, ma anche gli occidentali piangeranno.