Oggi a Roma accadrà per l’ennesima volta una scena assurda: da una parte migliaia di persone, moltissimi studenti, in piazza a protestare per lo sciopero climatico in nome di una consapevolezza ambientalista che sta diventando l’elemento determinante dei nuovi movimenti politici planetari, dall’altra – anzi accanto – una città che trabocca di rifiuti, eternamente sporca, sull’orlo di una nuova emergenza. È chiaro che la mobilitazione ecologista in questa città deve capire che la sua vocazione è questa.

Ovvero, prendersi carico di una questione che nessuno è in grado di affrontare. Ed è ancora più evidente che se il fragilissimo ambientalismo italiano è nato storicamente sulle battaglie contro il nucleare e sullo sfruttamento delle risorse energetiche (negli anni ’70 e ’80); oggi che lo stesso impegno non può che concentrarsi su come si può fare a riparare il mondo, la questione dei rifiuti va tenuta in cima alle priorità di chi protesta.

La verità purtroppo è che invece i rifiuti non infiammano le coscienze: i comitati politici che se ne occupano fanno riunioni poco più che carbonare, a Roma le due proposte di delibere di Zero Waste Lazio e dei Radicali hanno mobilitato solo pochi attivisti e giacciono indiscusse, le manifestazioni contro la sindaca delle sei donne civiche si sono spente con la stessa rapidità con cui sembravano accendersi, e persino quelle per la chiusura del tmb Salario non si sono riuscite a trasformare nel nucleo di una mobilitazione ambientalista cittadina; solo il piccolo movimento di Colleferro, Rifiutiamoli, è virtuoso come può essere un piccolo esempio.

Si continuano a postare giga di foto di cassonetti ripieni, di topi tra i monumenti, di frigoriferi abbandonati, ma la maggior parte delle persone, anche dei militanti, non ha voglia, tempo, indignazione sufficiente per dedicare il proprio impegno politico alla questione. Questo fa sì che se ne occupino i tecnici – spesso poco capaci di declinare la questione in senso politico, spesso semplicemente poco capaci – e politici spesso coinvolti nel problema stesso, esposti a conflitti di interesse accentuati dall’emergenza.

Il risultato è che Roma sta vivendo ancora una fase perennemente emergenziale: nello scarico di responsabilità, a guadagnarci sono privati come il consorzio Co.la.ri. di Cerroni, che dopo aver appestato la città per decenni con la discarica di Malagrotta, ancora tengono in mano il rubinetto del flusso cittadino dei rifiuti.
L’ambizione primaria di questa battaglia è che la gestione dei rifiuti – una risorsa da miliardi per questa città – sia pubblica, a partire dagli impianti, e gestita da un management all’altezza di una delle più grandi industrie del paese (l’Ilva). In questo momento di fatto l’Ama si sta occupando sempre di più del servizio di spazzamento e sempre meno del trattamento. Se ci sarà un commissariamento, questa dequalificazione di un’azienda con che riceve 800 milioni di euro l’anno di soldi comunali sarà certificata. Ma la strada sembra segnata; ieri mattina il blitz della sindaca e dei minisindaci 5s al consiglio regionale sui rifiuti è stato, fuori da qualunque setting istituzionale, uno dei punti più bassi della politica romana.

Che si può fare? Capire come funziona il ciclo di rifiuti – c’è un’ottima recente ricostruzione di Sarah Gainsforth su Valigia Blu – non basta; occorre combattere per soluzioni praticabili di breve, medio e lungo raggio. Il caso del tmb Salario è emblematico: un impianto che non doveva nemmeno essere immaginato in quell’area, è stato usato, male usato, e abusato da amministrazioni di ogni colore in spregio della salute e della dignità degli abitanti, finché non ha preso fuoco, in un incidente che ancora non ha responsabili. Nell’ultimo libro di Walter Veltroni sulla sua esperienza di sindaco se ne parla come di una soluzione e non di un disastro ambientale. Ora quello spazio dovrebbe essere il simbolo di una rinascita di tutta Roma; ma i progetti di riqualificazione, di costruire lì una cittadella della sostenibilità, non sono durati nemmeno un’estate, il tempo di defenestrare il cda di Luisa Melara, il penultimo nell’ordine di tempo.

Nel frattempo, l’amministrazione Raggi fa una pessima campagna di sensibilizzazione per la sicurezza con depliant distribuiti nelle scuole che vorrebbero chiamare a raccolta per la cura della città e sono invece delle invettive contro i poveri, mentre non pensa ancora come avviare una seria campagna sulla raccolta differenziata e sul riciclo. Chi scenderà in piazza a Roma oggi, faccia mente locale su quest’urgenza. Il cambiamento climatico è un mostro tale che sfugge alla nostra stessa immaginazione e questo può essere un alibi per restare paralizzati dall’impotenza. Ma a Roma questo stallo può essere rovesciato: occorre scendere in piazza non solo contro i cassonetti pieni, ma per un’idea di città futura.