Ambientalisti in piazza a Montecitorio contro nuove e vecchie trivelle. «Il 26 ottobre andrà a rinnovo il permesso Eni-Shell in Val d’Agri mentre è imminente l’avvio delle ulteriori attività estrattive di Total- Mitsui – Shell con un nuovo centro oli a Tempa Rossa. Tutto ciò senza una vera analisi dell’impatto delle attività estrattive sulla Basilicata sia stato ancora nemmeno avviato». Sono alcune delle ragioni che ieri hanno portato associazioni, movimenti ed attivisti nella capitale, a pochi metri da Montecitorio, per ribadire la ferma opposizione a trivelle, nuove e vecchie, in Lucania.
Nei giorni scorsi, invece, la protesta era andata in scena a Potenza, davanti alla sede della Regione. «La Basilicata e i suoi cittadini hanno già dato…», ribadiscono gli ambientalisti. Quello che si chiede con forza è l’eliminazione del decreto Monti, che prevede la proroga automatica delle concessioni; la cancellazione di alcuni articoli – il 33, 35 e 38 – dello Sblocca Italia di Renzi; lo stop immediato alle estrazioni, in via precauzionale, in attesa che venga fatta luce sull’entità dei danni causati dallo sversamento di petrolio in Val d’Agri.
Per il quale il 28 ottobre al tribunale di Potenza inizia il processo a carico di Enrico Trovato, che deve rispondere di disastro ambientale. Il dirigente Eni, ex responsabile del Centro oli della Val d’Agri (Cova), è a giudizio nell’inchiesta sulla fuoriuscita di greggio che si verificò tra agosto e novembre 2016 e che ha causato l’inquinamento di acque e sottosuolo su circa 26mila metri quadrati di territorio.
L’imputato, che si trova ai domiciliari, secondo l’accusa sapeva delle perdite dei serbatoi di stoccaggio, segnalate già dal 2012, e non avrebbe fatto alcunché per evitare che la situazione peggiorasse. Nel procedimento ci sono altri 9 inquisiti, tra cui i componenti del comitato tecnico regionale della Basilicata, che avrebbero dovuto controllare l’attività e la società. Processo in cui la stessa Regione e il coordinamento nazionale No Triv saranno parti civili. «Una fase delicata – aggiungono gli ambientalisti – in cui nessun rinnovo automatico è concepibile soprattutto in una condizione di assoluta incertezza sanitaria, giudiziaria e sui controlli».