L’americano a Roma, Mr. John Phillips, avverte i cittadini italiani di fare molta attenzione al referendum costituzionale di Renzi. L’ambasciatore statunitense, nonni di origine italiana e un buon rapporto personale con il premier, ci consiglia di votare un bel Sì, e spiega che il suo endorsement a favore della riforma è dettato da un sentimento di amore verso il nostro paese (la sua regione preferita è la Toscana) perché solo un grande Sì consentirà agli investitori esteri di portare ricchezza e benessere al nostro esangue sistema economico. L’ambasciatore spiega che se vincerà il Sì godremo di una duratura stabilità politica e finalmente i nostri mediocri politici diventeranno grandi statisti.

Mr Phillips crede di fare un favore a Renzi, ma dopo Economist, Financial Times, Wsj, il suo associarsi al mantra della finanza internazionale che ci raccomanda ogni giorno di votare Sì per non essere lasciati al nostro declinante destino, potrebbe invece creargli solo problemi. Tanto più che ieri, associandosi al coro, la società di rating Fitch, gli ha fatto eco minacciando sconquassi («se prevalesse il No sarebbe uno shock negativo per l’economia»). Mancano solo le cavallette.

Diciamo la verità, in altri tempi la posizione dell’ambasciatore americano in una questione così delicata avrebbe pesato sulla nostra opinione pubblica e sulle varie parrocchie di riferimento. Oggi, nonostante la propaganda del governo che rilancia l’endorsement e dirama alle agenzie l’invito di Obama a Renzi per un’ultima cena alla casa Bianca, gli italiani sono più svegli, hanno assaggiato i frutti avvelenati della grande crisi provocata da chi ci regala questi avvertimenti. Che tutto il gotha della finanza internazionale ci dica come votare alla fine potrebbe sortire l’effetto contrario. Come dice Bersani, ma «per chi ci prendono?»

Il fatto è che il governo con il referendum costituzionale (e la legge elettorale) si è infilato in un grande isolamento, ha messo insieme tutte le opposizioni generando una grande confusione sotto il cielo della politica italiana.

Anche con il contributo del misurato ministro Padoan che, sempre ieri, mentre annunciava una revisione al ribasso del nostro Pil, prometteva più rosei orizzonti in caso di vittoria del Sì («non possiamo perdere questa occasione»). Poi il ministro si è dilungato sull’operato del governo nel risanamento del malconcio sistema bancario assicurando che tutto va per il meglio.

Evidentemente aver sponsorizzato per il baricentro del nuovo assetto, un uomo di Jp Morgan come amministratore delegato di Monte Paschi, è una garanzia. Oltre che per le sorti della grande banca, anche per quella della rottamazione costituzionale visto che Jp Morgan, bisogna riconoscerlo, è stata tra le prime lobby finanziarie a mettere nero su bianco il superamento delle Costituzioni del 1948, la prima a dichiarare che bisognava spostare il cuore del sistema dal Parlamento al governo, dal welfare europeo al nuovo vangelo della finanza globale. Il gruppo di palazzo Chigi, con i suoi blairiani di ritorno, le banche della grande finanza, la nostra Confindustria e Marchionne hanno scelto da che parte stare.

E votare No, contro tutto questo, se non riempirà le tasche, almeno alleggerisce il cuore.