Una splendida villa a tre piani con un giardino ben curato, fontane, alberi rigogliosi, palme. Due leoni poggiati su piedistalli che accolgono il visitatore introducendolo verso le scale che conducono al portone d’ingresso. Siamo a Roma, tra la trafficata via Nomentana e la più silenziosa via Carlo Fea. È in questo edificio acquistato da re Ghazi Amanullah Khan – il re riformatore che ha regnato dal 1919 al 1929 – che due giorni fa è avvenuto un incidente consegnato ai verbali di polizia.

I PROTAGONISTI PRINCIPALI sono due, Khaled Zekriya e Mohammad Fahim Kashaf, ma l’episodio va ben oltre i casi individuali: ha a che fare con il passaggio dalla Repubblica islamica, crollata il 15 agosto 2021, all’Emirato dei Talebani. E con i classici interrogativi su potere e sovranità, forma e sostanza.

Il primo dei nostri due protagonisti, Zekriya, è nato a Kabul. Uomo di ottime letture, gode dell’eloquio disinvolto di chi ha compiuto studi universitari in prestigiose università (statunitensi). Ha ricoperto ruoli importanti nelle istituzioni afghane post-primo Emirato fino alla nomina, nell’agosto 2020, come ambasciatore della Repubblica islamica d’Afghanistan in Italia. L’altro, Kashaf, è un “figlio d’arte”: suo padre, morto nel maggio 2020, era il mawlawi Qiyamuddin Kashaf, un clerico protagonista della storia recente del Paese, che ha fatto parte di varie Commissioni, Consigli di pace, fino a presiedere l’influente consiglio degli ulema, l’organo che riunisce i religiosi (ma contestato dai Talebani). Anche Mohammad Fahim Kashaf è un diplomatico, ed è stato il primo segretario dell’ambasciata di Roma.

FINO AL RECENTE LICENZIAMENTO. Avvenuto, ci racconta l’ambasciatore Zekriya al telefono, per «ammutinamento diplomatico». Tra l’arrivo al potere dei Talebani, il 15 agosto 2021, e l’annuncio del nuovo governo a interim, il 7 settembre, Kashaf avrebbe dimostrato di essere «contro la nostra Costituzione, contro la nostra bandiera». In altre parole, dalla parte dei Talebani. Da qui il licenziamento che, secondo Zekriya, avrebbe avuto l’approvazione formale dell’allora ministro degli Esteri, Hanif Atmar.

 

Mohammad Fahim Kashaf

 

Qualche mese dopo, due giorni fa, «intorno alle 14» l’ambasciatore Zekriya è in una riunione quando Kashaf, entrato nell’ambasciata, irrompe nella sala, minaccia Zekriya, tenta di aggredirlo e ripete convinto: «Non sei più tu l’ambasciatore. Ora sono io. La nomina proviene dall’Emirato». Ne segue un’accesa discussione e un parapiglia, risolto con l’intervento di 4 poliziotti e 2 funzionari dell’antiterrorismo. Secondo l’ambasciatore Zekriya, Kashaf non sarebbe nuovo a minacce simili. E già in passato, in altre sedi e missioni, avrebbe dimostrato un carattere fumantino, litigando con ambasciatori, impiegati, funzionari. Ma, come dicevamo, al di là delle vicende personali, rimane la questione più ampia. Chi e cosa rappresentano le ambasciate d’Afghanistan nel mondo? Il vecchio sistema che non esiste più, collassato sulle sue stesse debolezze – la Repubblica -, o il nuovo sistema, l’Emirato dei Talebani, privo di riconoscimento internazionale?

PER L’AMBASCIATORE ZEKRIYA, non ci sono dubbi: «La convenzione di Vienna non prevede transizioni da un regime all’altro. O è bianco o è nero. L’Emirato non è un’entità giuridicamente e diplomaticamente riconosciuta». Ma qualcuno nota che il licenziamento di Kashaf sia avvenuto quando il presidente Ashraf Ghani era già fuggito all’estero, quando la Repubblica era già crollata, nella sostanza anche se non nella forma, quando gli edifici del potere di Kabul, dall’Arg – il palazzo presidenziale – al ministero degli Esteri erano già occupati dai Talebani. I quali, ieri, hanno ufficializzato la loro posizione: secondo Abdul Qahar Balkhi, portavoce del ministero di fatto degli Esteri dell’Emirato, «il contratto di Kashaf è ancora valido» e il suo licenziamento «illegale». Nominato primo segretario nel dicembre 2020, il suo contratto sarebbe valido fino al prossimo dicembre. Balkhi però ha anche aggiunto che «il ministero non lo ha nominato come ambasciatore a Roma».

UNA POSIZIONE CONCILIANTE rispetto a quella di poche settimane fa, quando la Commissione dell’Onu incaricata di decidere sulle credenziali dei rappresentanti al Palazzo di Vetro ha posticipato a data da destinarsi la decisione sul candidato talebano. Mohammad Suhail Shaheen, già portavoce dei Talebani nel corso dei negoziati di Doha che hanno condotto al ritiro delle truppe straniere, dovrà aspettare. Secondo Zekriya, la decisione va nella direzione giusta. «Nessun riconoscimento ai Talebani, che sono un’organizzazione terroristica. Non permetterò a nessuno di issare nell’ambasciata la bandiera dell’Emirato al posto di quella della Repubblica«.

Ma se a Roma l’ambasciatore Zekriya sostiene di rappresentare «un governo in esilio», a Kabul e a Doha ambasciatori e diplomatici stranieri, inclusi quelli dell’Unione europea, incontrano i delegati dell’Emirato.

Errata Corrige

Il caso nella sede diplomatica dell’Afghanistan in Italia. Carica contesa, il prescelto dai talebani irrompe nella sala riunioni e scoppia un parapiglia. Deve intervenire la polizia. L’attuale rappresentante di Kabul, Zekriya: «Non farò mai issare la bandiera dell’Emirato»