Se il generale libico Khalifa Haftar non si sta scavando la fossa da solo, poco ci manca. Indebolito dalle recenti sconfitte militari nel nord ovest della Tripolitania e assediato dalle forze del Governo di Accordo nazionale (Gna) nell’importante base aerea di al-Watiya (sud ovest di Tripoli) e a Tarhouna (città strategica per conquistare la capitale), da settimane l’autoproclamato capo dell’Esercito nazionale libico (Enl) sta inanellando un errore politico dopo l’altro.

L’ULTIMO LA SCORSA NOTTE quando i suoi uomini hanno colpito con dei razzi la zona di Zawiyat al-Dahmani di Tripoli dove si trovano le sedi della radio, del ministero degli Esteri, ma soprattutto la residenza dell’ambasciatore italiano Giuseppe Buccino Grimaldi e l’ambasciata della Turchia. Bilancio: 5 morti, di cui almeno due del personale della sicurezza del ministero dell’Interno libico. Indenne Grimaldi e il suo staff.

Un attacco brutale che rischia di isolare Haftar ancora di più internazionalmente: non gli bastava la freddezza, se non proprio la disapprovazione, dei suoi alleati interni e stranieri quando lo scorso 27 aprile si è autoproclamato rais del Paese. Il raid dell’altra sera alza l’asticella delle sue provocazioni e rischia di alienargli anche il sostegno dell’Italia, Paese che gli si era avvicinato in modo opportunistico lo scorso novembre quando il generale sembrava ormai vicino alla «liberazione» di Tripoli dal governo al-Sarraj.
Lo sdegno internazionale per il bombardamento è unanime: se la Farnesina parla di «attacco indiscriminato e inaccettabile», il capo della politica estera dell’Unione europea, Josep Borrell lo definisce «inaccettabile, contro il rispetto della vita umana e del diritto internazionale umanitario». Musica per le orecchie del Gna che a ogni piè sospinto non manca di ricordare come Haftar non sia un partner con cui si può fare la pace.

È ORMAI EVIDENTE come il generale della Cirenaica stia alzando i toni dello scontro per coprire i suoi fallimenti: due sere fa l’Enl ha rivendicato «18 raid aerei» contro un deposito di munizioni di Misurata, a poche centinaia di metri dal contingente di 300 militari italiani impegnato nella missione Miasit. L’attacco – il Gna parla solo di «incendio doloso» – ha segnato l’avvio della nuova campagna militare di Haftar: si chiama “Uccelli miracolosi” e mira a «liberare il Paese dall’aggressore turco».
Resta da capire però chi ci crede in Cirenaica: da qualche settimana, infatti, il presidente del parlamento di Tobruk, Aguila Saleh, propone un accordo politico in 8 punti con i rivali del Gna e chiede alla comunità internazionale di riunire le due parti rivali. Toni distensivi lontani da quelli bellicosi di Haftar: spia di una profonda divisione interna in Cirenaica (Saleh ufficialmente nega) o piuttosto un’abile manovra politica per ripulire internazionalmente l’immagine dell’Enl?

DIFFICILE CREDERE alla seconda opzione e comunque, se così fosse, è una strategia che sta fallendo: contro l’offensiva di Haftar giovedì si sono schierati anche gli Usa. Washington ha però puntato il dito anche contro la Russia e il presidente siriano al-Asad accusati di «reclutare miliziani da trasferire dalla Siria in Libia per combattere con Haftar». Una presenza che si andrebbe ad affiancare ai mercenari russi del gruppo Wagner il cui numero è stato stimato due giorni fa da un rapporto confidenziale dell’Onu intorno alle 1.200 unità.

In un Paese sempre più alla deriva a pagare il prezzo più alto sono i civili: 6 persone sono state uccise da un bombardamento di Haftar nel quartiere Abu Salim di Tripoli.