L’Amazzonia è diventato il primo capitolo dell’agenda del G7, che inizia oggi a Biarritz sulla costa basca francese all’Hotel du Palais, costruito da Napoleone III per la moglie Eugenia. Con un’abile mossa, l’ospite Emmanuel Macron ha posto la preoccupazione per gli incendi al centro della discussione dell’edizione 2019 della riunione dei cosiddetti «grandi», iniziata nel ’75 (da Valéry Giscard d’Estaing) per lottare (già allora) contro il protezionismo e le guerre monetarie, ma che nel corso degli anni ha perso incidenza, parallelamente a una assurda gonfiatura di partecipanti e logistica, oltre che all’esplosione dei costi (quest’anno più di 25 milioni di euro).

LA MOSSA È A DOPPIO TAGLIO: la difesa dell’Amazzonia come polmone della terra è un argomento sovranazionale, serve quindi a ribadire l’importanza del multilateralismo diventato nemico numero uno dei nazionalisti e al tempo stesso diventa strumento per cercare di calmare le forti proteste contro il G7 e i «grandi» indifferenti alla vita delle popolazioni, che quest’anno sono iniziate mercoledì scorso con dibattiti e seminari a Hendaye e Irun in Spagna, che avranno oggi il punto culminante con la manifestazione e domenica la marcia dei «ritratti», con le foto di Macron «staccate» dai militanti ecologisti dai muri di numerosi palazzi comunali, per protestare contro la mancanza di azione del governo francese a favore del clima (azioni osservate a vicinanza ravvicinata da 13.200 poliziotti, motovedette, droni ecc., con stazioni e aeroporti chiusi).

MACRON HA FATTO SAPERE che la Francia non firmerà l’accordo Ue-Mercosur (Brasile, Argentina, Paraguay, Uruguay mentre il Venezuela è sospeso dal 2016) allo stato delle cose, perché Jair Bolsonaro ha «mentito» sui suoi impegni a favore della protezione dell’Amazzonia. Bolsonaro lo ha accusato di «mentalità colonialista», ma almeno tra gli europei si sta costruendo una posizione comune: oltre alla Francia, anche l’Irlanda non intende allo stato delle cose firmare l’accordo con il Merosur, mentre la Germania, seguita dalla Norvegia, ha sospeso il finanziamento all’Amazon Fund. Persino il recalcitrante Boris Johnson si è detto ieri «profondamente preoccupato» dagli incendi in Amazzonia. L’asse Johnson-Trump (che ieri ha aizzato una polemica contro la Fed dopo la decisione di Powell di non tagliare i tassi di interesse) potrebbe non concretizzarsi come desiderato dai due eccentrici leader.

Il G7 si annuncia difficile, il clima è teso su numerosi fronti. Al punto che, per evitare la sceneggiata dell’anno scorso in Canada con Trump che ha ritirato la firma alle conclusioni, il G7 di Biarritz si concluderà senza comunicato finale. Ci sono forti dissensi interni tra i 7, i leader sono praticamente tutti indeboliti o già in corsa elettorale, con la sola eccezione, per il momento, del giapponese Shinzo Abe.

CI SONO CONVITATI DI PIETRA a Biarritz: la Cina, con le minacce di recessione mondiale causate dalla guerra commerciale con gli Usa, l’Iran e l’accordo sul nucleare denunciato da Trump proprio a un G7 (come è successo a un altro summit G7 per l’Accordo di Parigi). La Russia non è più presente dal 2014, ma Trump ora la rivuole senza condizioni, mentre Macron lega il rientro di Mosca, che servirebbe a rafforzare un G7 indebolito, a un accordo sull’Ucraina. Il peso del G7 si è ristretto. Oggi rappresenta solo più il 12% della popolazione mondiale e il 45% del pil e i «sette» non sono neppure più i più ricchi.

Il posto degli scambi multilaterali è stato preso dal G20, che rappresenta l’85% del pil mondiale. Per rimediare a questa debolezza, Macron ha invitato India, Australia, Cile, Egitto, Sud Africa, Senegal, Rwanda, Burkina, oltre alla confinante Spagna (che gestisce in tandem il controllo del contro-vertice e delle manifestazioni).

IL TEMA IN DIBATTITO è la lotta alle diseguaglianze, che ha contribuito non poco all’indignazione dei militanti impegnati nel sociale: come accettare che chi causa queste diseguaglianze, non lotta contro l’evasione fiscale, detti poi legge su come combatterle? Secondo dati Ocse, nel 2014 l’1% più ricco incamerava l’11% del reddito mondiale, quasi il doppio del 2006 (6%) e il reddito disponibile è diminuito dal 2005 per il 25% della popolazione dei paesi del G7, cioè le diseguaglianze aumentano sia tra zone geografiche che all’interno dei singoli paesi o aree economiche. Le pratiche di «ottimizzazione» fanno perdere ogni anno 240 miliardi al fisco nel mondo. Ma la timida tassa francese sul fatturato delle multinazionali del digitale ha scatenato l’ira di Trump, che ha parlato di «mossa anti-americana» e minaccia ritorsioni doganali sul vino francese (e le multinazionali ritorsioni sui fornitori francesi).

Al G7 finanza che si è tenuto a Chantilly il 17-18 luglio, il ministro francese, Bruno Le Maire, ha osservato che «non possiamo più avere un sistema fiscale internazionale basato su un modello economico del XX secolo, senza tener conto dei giganti che creano valore vendendo dati senza essere tassati allo stesso livello per esempio della piccola e media impresa». Per Le Maire l’obiettivo è trovare «una soluzione internazionale soddisfacente» a livello di G7, per poi investire l’Ocse per un accordo. Sulla guerra commerciale e delle monete il G7 non è la sede più adatta, ma il conflitto Usa-Cina resta centrale, con il rischio per l’Europa di rimanere schiacciata in mezzo. Biarritz è l’ultima possibilità per rilanciare il multilateralismo: il 2020 sarà un anno buio, con la presidenza del G7 agli Usa e quella del G20 all’Arabia saudita.