Amazon ha contabilizzato i profitti in Italia in una filiale del Lussemburgo e ha evaso le tasse dal 2009 al 2014 per circa 130 milioni su un giro di affari di 2,5 miliardi di euro. È l’accusa su cui sta indagando la procura di Milano aperta più di un anno fa quando un manager della filiale lussemburghese del colosso mondiale del retail è stato iscritto nel registro degli indagati. Il nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Milano ha redatto un «processo versable di costatazione» trasmesso alla procura nelle scorse settimane in vista della chiusura delle indagini. La procura di Milano ipotizza il reato di omessa dichiarazione dei redditi. Secondo i magistrati in Lussemburgo sarebbero stati contabilizzati i profitti realizzati in Italia in modo da aggirare il fisco. Anche l’agenzia delle entrate potrebbe muoversi con un accertamento fiscale.
«Amazon paga tutte le imposte che sono dovute in ogni Paese in cui opera – è stata la replica dell’azienda – Le imposte sulle società sono basate sugli utili, non sui ricavi, e i nostri utili sono rimasti bassi a seguito degli ingenti investimenti e del fatto che il business retail è altamente competitivo e offre margini bassi». La multinazionale sostiene di avere investito nel nostro paese più di 800 milioni di euro dal 2010 e ha assunto a tempo indeterminato oltre 2 mila dipendenti.

Lo schema contestato all’azienda di Jeff Bezos è una fotocopia della triangolazione usata da altri colossi della Silicon Valley: Apple, Google e Facebook. Per sanare la sua posizione, Apple ha staccato un assegno da 318 milioni di euro. L’ipotesi era omesso versamento dell’Ires per un totale di circa 879 milioni di euro in cinque anni. La cifra patteggiata rappresenta uno sconto sostanzioso.

Anche Google è finita nel mirino della finanza. Dal 2008 al 2013è stata accertata un’evasione per 227 milioni di euro attraverso uno schema elusivo che ha coinvolto una serie di società in Irlanda, Paesi Bassi e Bermuda. Ai cinque manager del motore di ricerca californiano (due irlandesi, un inglese, un americano e un cittadino di Taiwan) è stato contestato solo un mancato versamento dell’Ires, l’imposta sui redditi delle imprese su 98,2 milioni di euro. Il contenzioso potrebbe chiudersi con un versamento cospicuo, ma inferiore rispetto all’evasione stimata. Sarebbero aperti anche fascicoli su Facebook.

La presunta evasione fiscale di Amazon è diventata materia di scontro politico nel Pd. Alla base c’è la nomina di Diego Piacentini, già vice-presidente di Amazon, a commissario al digitale. La nomina è stata voluta da Matteo Renzi che da presidente del Consiglio ha intrattenuto una certa familiarità con la Silicon Valley al punto da ricevere accusa di lobbysmo dai suoi avversari politici. Michele Emiliano, candidato alle primarie da segretario del Pd di domani, parla del «conflitto di interessi» di Piacentini. «È tuttora detentore di stock option per decine e decine di milioni di euro – sostiene il governatore pugliese – ha competenze su tanti aspetti connessi all’impatto del digitale, relazioni con Bruxelles comprese».

«La reazione di Amazon alla notizia dell’inchiesta in corso a Milano offende l’intelligenza di ogni contribuente italiano. Le imposte sulle società non sono basate solo sugli utili, come rileva in un comunicato la stessa Amazon, ribadendo i bassi utili conseguiti, ma esistono anche le imposte indirette sistematicamente eluse, oltre al meccanismo di trasferimento di costi da una controllata all’altra che riduce al minimo le restanti imposte dovute. Non è un caso che già in altre occasioni la stessa Amazon, Apple e altre Over the top, hanno accettato accordi fiscali pagando centinaia di milioni attraverso la cosiddetta giustizia negoziata. Se le multinazionali del web pagassero tutte le imposte che eludono come Amazon, Airbnb, Uber, Apple – sostiene Francesco Boccia (Pd), presidente commissione bilancio della Camera – potremmo abbassare le imposte sul lavoro a tutti». Boccia, sostenitore di Emiliano alle primarie, ha ricordato che quando il governo Letta avanzò l’idea della «Web Tax». L’avversione «di Grillo e Renzi» a questa «norma di equità fiscale ci ha danneggiati come paese».