I Leviatani del capitalismo dellepiattaforme digitali Amazon, Apple, Facebook e Google abusano del loro potere. Le leggi antitrust degli Stati Uniti devono essere rielaborate per tenerli a freno e permettere una maggiore concorrenza sul mercato digitale degli Stati Uniti e, dunque, su quello mondiale. Dopo 16 mesi di indagini sono queste le conclusioni di un rapporto di oltre 400 pagine, scritto dagli esperti del partito democratico nella sottocommissione antitrust alla Camera dei deputati Usa. Il rapporto pubblicato martedì scorso cita numerosi esempi in cui i nuovi titani tecnologici hanno abusato del loro monopolio per accrescere il potere in molti settori. Dello stesso avviso sono anche i Repubblicani che hanno rifiutato di co-firmare il rapporto all’ultimo minuto per una divergenza sulle soluzioni prospettate. Invece di creare nuove leggi, i repubblicani invitano il Congresso a finanziare e rafforzare le agenzie di regolamentazione e i dipartimenti governativi come la Federal Trade Commission e il Dipartimento di Giustizia per costringere le Big Tech a rispettare le leggi esistenti. Indipendentemente dalla tipologia delle soluzioni, in realtà non di poco conto, il fatto che i Repubblicani e i Democratici siano d’accordo sul fatto che queste aziende rappresentano una minaccia per l’economia digitale è significativo. A meno di un mese dal voto per la presidenza degli Stati Uniti uno dei temi politici di primo piano nel capitalismo contemporaneo è tornato sulla scena.

Scorrendo il rapporto è interessante descrivere i comportamenti concreti dei monopoli digitali. Prendiamo, ad esempio, Amazon. L’azienda sfrutta il suo potere di mercato agendo come il rivenditore online e come leader del mercato dell’e-commerce. In questo modo ostacola la crescita di potenziali concorrenti e detta le regole a tutti. Circa 2,3 milioni di venditori terzi fanno affari sul suo mercato in tutto il mondo e il 37% di loro si affida all’azienda fondata da Jeff Bezos come unica fonte di reddito. Nel settore fondamentale del cloud computing, quello più redditizio, la costola Amazon Web Services tratta ingiustamente alcuni sviluppatori open source, il cui software è spesso liberamente condiviso. Il meccanismo predatorio è un classico in questo mondo: c’è una start up che crea e sviluppa il lavoro. E poi c’è il Leviatano che impone la sua sovranità e la monetizza con enormi profitti.

Capitolo Apple. Il suo monopolio sulle app su iPhone e iPad permette all’azienda di applicare una commissione del 30% su molte vendite e spinge gli sviluppatori ad aumentare i prezzi danneggiando i consumatori e riducendo gli investimenti su nuove app. Apple privilegia le applicazioni e i servizi che produce sui propri smartphone o «Mac» preinstallandoli e rendendoli opzioni predefinite. Secondo gli esperti democratici questo è un vantaggio permesso dall’integrazione dei servizi nel software e rende difficile la concorrenza con chi è comunque costretto a usare le piattaforme di Apple per raggiungere i propri clienti.

Veniamo a Facebook. Il suo monopolio andrà studiato nei libri di storia dell’economia. L’azienda di Mark Zuckeberg è così potente nel suo settore da essere il mercato. Sono le singole aziende acquisite negli ultimi anni a farsi concorrenza le une con le altre. Instagram minaccia il monopolio di Facebook, ad esempio. Per evitare scompensi nelle strategie interne sono stati adottati comportamenti che qualcuno nel rapporto ha definito «collusivo in un monopolio interno».

Quanto a Google mantiene il monopolio nel settore dei mercati di ricerca e continua ad accaparrarsi informazioni da terzi senza il permesso di migliorare i risultati. Attualmente domina il mercato con nove prodotti diversi e più di un miliardo di utenti. La potenza accumulata permette all’azienda di usare i dati secondo informazioni di mercato quasi perfette. In questo modo il suo dominio è assicurato in tempo reale.