«Mi dà fastidio che vengano chiamati “moniti”, non siamo la maestrina del parlamento», dice Giuliano Amato commentando il bilancio di un anno di lavoro – il 2021 – della Corte costituzionale. Nel quale salta agli occhi la crescita continua di questo tipo di interventi della Corte: inviti alle camere a intervenire per porre rimedio a situazioni potenzialmente o già dichiaratamente incostituzionali. Queste ordinanze, che sono state definite di «incostituzionalità prospettata», nel senso che i giudici delle leggi danno tempo (generalmente un anno) al legislatore per intervenire, riservandosi altrimenti di farlo con sentenza di incostituzionalità allo scadere del termine, erano appena dieci nel 2018 e attraverso una crescita costante sono diventati in quattro anni quasi il triplo, 29 nel 2021.

Seguendo l’esempio di altre Corti estere, la nostra intende con questo tipo di decisioni esercitare quella «leale collaborazione» che è un principio che (per quanto citato solo marginalmente nella Costituzione) costituisce un presupposto logico della separazione dei poteri. Non sempre però funziona. In qualche caso le camere rispondono alla sollecitazione (per esempio sull’aggio nella riscossione delle imposte), in qualche caso rispondono aggirando il problema, come nel caso della legge sull’ergastolo ostativo approvata in prima lettura che sembra eludere i richiami della Corte (ma lo vedremo, a maggio quando scadrà il termine concesso nell’ordinanza). In qualche altro caso invece il parlamento ha lasciato cadere nel vuoto gli inviti, senza intervenire. Amato però, che dei giudici è il più «politico» (ha cinque legislature alle spalle oltre che diversi incarichi di ministro e presidente del Consiglio), fa attenzione a evitare facili reprimende. Intervistato per l’annuario (anche in video sul canale della Corte) dalla responsabile della comunicazione Donatella Stasio, chiarisce che «la differenza di posizioni nel parlamento è dovuta a diversi approcci culturali non a piccoli interessi. Comporre le diversità è difficile e il disprezzo per la politica è fuori posto».

Se già nel 2021 la Corte è stata investita dalle richieste di valutare la complessa legislazione anti Covid, il suo presidente sottolinea che «i casi sottoposti solo in parte ci hanno fatto entrare nel merito dei contenuti dei Dpcm» che hanno poi riguardato questioni fondamentali come i diritti e le libertà. Come dire: il meglio deve ancora venire. Mentre per la prima volta nella storia l’anno scorso la Corte ha sospeso la validità di una legge – quella della Valle d’Aosta che introduceva regole anti Covid più morbide rispetto a quelle stabilite dallo stato. «Era sconcertante che a parità di condizioni le regioni si regolassero in modo diverso, abbiamo dovuto mettere in chiaro che per combattere la pandemia la competenza non è ripartita tra stato e regioni ma è quella esclusiva dello stato della profilassi internazionale».
Amato ha detto di augurarsi un’evoluzione del rito davanti alla Corte nella direzione di quello in voga davanti alla Corte suprema americana o alla Corte di giustizia del Lussemburgo, dove «giudici e avvocati non si limitano a presentare il precotto delle loro argomentazioni, ascoltando il quale io mi annoio, ma interloquiscono». In conclusione ha rivendicato il dovere della Corte di «comunicare la lettura che ritiene corretta delle proprie decisioni, scendendo dal tempio delle armonie celesti». Anche se «così facendo si pagano dei prezzi». E qui il riferimento alla sua conferenza stampa di febbraio sui referendum ammessi e non ammessi è apparso evidente