E pensare che una volta bastava avvistare una stella cometa in cielo per prevedere chissà quali disastri. Sono passati secoli eppure, anche se in forma diversa, i ciarlatani continuano a dire la loro. Se ieri erano le piazze cittadine, oggi sono le piazze virtuali a prendere la parola, senza alcun controllo, da facebook a twitter. Se ne è occupato in un libro anche il geologo Alessandro Amato, che ne ha parlato di recente anche in un incontro organizzato a Spoleto dal Gruppo Hdrà (in «Parliamo della Terra», a cura di Paolo Mieli, nell’ambito del Festival dei Due mondi). Amato, geologo e dirigente di ricerca presso l’Ingv, dove ha diretto il Centro Nazionale Terremoti, è stato membro della Commissione Grandi Rischi. Nel suo libro, Sotto i nostri piedi. Storie di terremoti, scienziati e ciarlatani (Codice Edizioni) accompagna i lettori in un viaggio nella storia dei terremoti e nei vari e vani tentativi di prevederli.

spalla sismologo aleassandro amato
Amato, lei ha dedicato tutta la sua vita alla scienza e ai terremoti. In che modo sono stati vissuti dalle popolazioni nel corso dei secoli?

Da quando ci si è posti il problema dei danni provocati dai terremoti e della paura che questi causano nelle persone, sono sempre state fatte congetture sulla loro genesi e si sono tentate previsioni. Una volta ci si affidava perfino alle nuvole e già nell’antichità si tentava di prevedere le catastrofi. Gli studi scientifici hanno seguito un percorso tortuoso, dobbiamo arrivare ai primi anni del ’900 per cominciare a capire scientificamente perché si deforma la terra.

La cosa curiosa è che passa il tempo ma certi meccanismi restano. Per esempio, dopo il terremoto di Amatrice dello scorso anno un conduttore di Radio Maria ha sostenuto che quello era il castigo divino per aver accettato le unioni civili. Poi ci fu chi nel 1456 interpretò il passaggio della cometa di Halley come segnale precursore del grande terremoto che distrusse molte città della Campania e del Molise. Ancora oggi c’è la luna piena, l’allineamento dei pianeti…

La verità è che c’è sempre stata tanta voglia di prevedere. E ovviamente c’è chi se ne approfitta.

Ma perché, secondo lei, le bufale hanno tanto seguito?

La verità è che c’è scarsa fiducia verso la cultura scientifica, cosa che non ci permette di distinguere tra una notizia seria e una non seria. E così si tende a credere al primo che capita. La paura dei terremoti è naturalmente una molla molto forte. Si desidera avere qualcuno che ci dica quando arriverà il terremoto, uno tsunami o un’eruzione vulcanica.

Il diffondersi di notizie false può essere molto pericoloso. Come difendersi allora?

È molto pericoloso perché le persone, credendo alle bufale, si deresponsabilizzano anziché pensare di mettere in sicurezza la propria casa. E si creano allarmismi inutili. Informarsi è fondamentale. Anche noi, come Ingv, da qualche tempo abbiamo iniziato a utilizzare meglio i social e sul nostro sito raccontiamo di più come si svolge il nostro lavoro. Purtroppo la tendenza è sempre quella di dare credito a persone che non hanno le giuste competenze, sulla scia della ventata di pseudo-scienza e populismo che stiamo vivendo. E poi c’è la gente che non vuole credere alle istituzioni e anche questa è una complicazione.

Il crollo della fiducia c’è stato, immagino, nel 2009, con il terremoto dell’Aquila, a cui poi è seguito il Processo della commissione Grandi rischi che lei conosce bene avendone fatto parte qualche anno prima.

Sì, la credibilità verso le istituzioni in quel periodo era pari a zero. Adesso abbiamo recuperato un po’ e la figura scientifica è stata in parte rivalutata. Diciamo che viviamo una situazione simile a quella che accadde in Cina negli anni ’70.

Nel 1975 successe che era stato previsto un terremoto, per una serie di circostanze fortuite, in cui si salvarono moltissime persone. L’anno dopo ce ne fu un altro più forte che arrivò senza alcun tipo di preavviso e in cui ci furono 300mila vittime. Ecco, i geologi rischiarono di essere linciati. Insomma, era tutta colpa loro perché non lo avevano previsto.

Quindi meglio chiarirlo ancora una volta: i terremoti non si possono prevedere.

Purtroppo no, non dall’oggi al domani. Il crollo di Amatrice, per esempio, è avvenuto senza nessun tipo di segnale precursore, come molti altri terremoti, ma è avvenuto in una zona ben individuata da decenni come una di quelle a più elevata pericolosità del Paese.

Poi c’è stata, come sempre in questi casi, una sequenza di scosse successive. Le segnalazioni di possibili forti repliche da parte della comunità scientifica e della Protezione civile ha evitato ulteriori disastri. Alcuni studi ci avevano consentito di capire che c’erano faglie diverse ma quando il terremoto più forte, quello di magnitudo 6.5 del 30 ottobre, ha colpito nuovamente tutta la zona già attiva siamo rimasti sorpresi. Questa sequenza ci ha insegnato molte cose.

Si può evitare, però, che delle persone perdano le loro case o addirittura la vita per un scossa «leggera» come quella che ha colpito Ischia, una storia che ha a che fare con un problema molto diffuso nel nostro paese: l’abusivismo.

Si può. È importante avviare un programma serio, forse ventennale, di riduzione della vulnerabilità edilizia, cominciando dalle zone più sismiche. È l’unico modo serio per ridurre il rischio sismico. Ma ci vogliono tempo, risorse, lungimiranza, e una costante determinazione. L’istituzione, nel 2017, del Sismabonus è un primo passo importante, ma va potenziato perché sia realmente efficace.