Ci sono molti modi di raccontare quello che sta per succedere a Terra Madre Salone del Gusto. Forse non è sbagliato farlo partendo lontano da Torino. Per esempio da Leverkusen,

Germania, dove pochi giorni fa il board di Bayer ha confermato l’acquisizione di Monsanto. Un’operazione da 66 miliardi di dollari, ultima di una serie di maxi fusioni nell’agroindustria, per dar vita a un semi-monopolio destinato a controllare – antitrust permettendo – qualcosa come il 30% dell’agricoltura mondiale lungo tutta la filiera, dai semi ai fertilizzanti fino ai pesticidi.

Oppure da New York, Stati Uniti, dove il prossimo 3 ottobre incomincerà il quindicesimo round negoziale sul Trattato transatlantico Usa-Ue (Ttip), in attesa della ratifica dell’accordo omologo col Canada, il meno famigerato Ceta, che tutelerà dagli abusi sul mercato canadese appena 173 Igp europee – a scapito delle oltre 1.200 restanti.

A Torino sta per riunirsi un’umanità che non ha accesso a nessuna delle stanze riservate in cui si decidono i nostri destini. È una moltitudine di 7mila contadini, pescatori, pastori nomadi e cuochi da 143 nazioni del mondo. Molti non hanno mai viaggiato lontano dal proprio villaggio, qualcuno parla solo la sua lingua natia e può descrivere il cibo che produce solo ricorrendo ai nomi locali degli ingredienti, alla maniera delle nostre nonne.

Quando vent’anni fa nacque l’idea del Salone del Gusto non si poteva immaginare che questo sarebbe stato uno dei suoi esiti. C’era forse più di un motivo per dubitare della riuscita di una kermesse gastronomica nella Torino di allora: convincere qualcuno ad appassionarsi della sorte dei capponi di Morozzo o delle robiole di Roccaverano nella città della lamiera, reduce per giunta dai primi ridimensionamenti dell’azienda-madre? Assurdo. Eppure l’esperimento è riuscito, anzi ha aperto una strada dimostrando che l’uscita dal secolo breve dell’industria non passava per forza attraverso il «terziario avanzato», sotto la cui etichetta – peraltro – troppo spesso si mascherano nuove e più sottili forme di sfruttamento. Suggerire allora che il ritorno al lavoro della terra fosse un’alternativa, anche in Occidente e anche per i più giovani, sembrava una bestemmia.

Oggi non è più così: il settore primario ha riacquistato dignità anche sotto il profilo economico, tanto che i quotidiani ospitano quasi ogni giorno storie di startup agricole di successo o di filiere alimentari in espansione.

 

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Ciò che è avvenuto dopo la nascita della rete di Terra Madre ha contribuito ad ancorare l’intuizione iniziale alla terra. Ad evitare cioè che l’appuntamento biennale diventasse l’ennesima fiera da addetti ai lavori, a uso e consumo di un’eletta schiera di gourmet. Ci si è riusciti saldando l’esperienza del Salone del Gusto alla rete di Terra Madre, si può continuare a farlo sfruttando le innumerevoli opportunità che la prima edizione diffusa e gratuita ci offre.

Dopo vent’anni nel chiuso di un centro congressi, portare i presìdi di Slow Food e il mercato dei produttori nelle strade più frequentate dai torinesi significa costruire relazioni, anche con un pubblico che non ha familiarità con i temi della difesa della biodiversità e dell’ambiente, o con la lotta contro il land grabbing e lo sfruttamento. È un’occasione per spiegare a chi acquista, o a chi viene soltanto per curiosare fra i banchi, che ogni ingrediente ha una storia. E quando l’industria alimentare può permettersi di chiedere «poco», lo fa perché sa che l’onere di pagare le sue economie di scala tocca ai lavoratori e al nostro pianeta.

Più in generale, sarà come sempre un’occasione per accendere i riflettori sui grandi temi dell’alimentazione, a cominciare dai dialoghi al Teatro Carignano e dai forum di Terra Madre. Si farà il punto sulla lotta alle contraffazioni e alle agro mafie, un tema che troppo spesso entra nei titoli di giornale solo quando il caporalato miete vittime nei campi, dimenticando però che per le mafie nel nostro Paese l’agricoltura (o tutta la filiera alimentare, ristorazione compresa) e lo smaltimento di rifiuti sono uno dei business criminali più redditizi, con un giro d’affari superiore ai 12 miliardi all’anno. Si parlerà anche delle guerre al di là del mare, perché tra i drammi di un conflitto c’è spesso una crisi alimentare e sono queste crisi, prima di qualsiasi altra variabile geopolitica, a spingere sulle coste europee migliaia di uomini, donne e bambini.

La nuova formula di Terra Madre Salone del Gusto si rivolge a molte platee, come le comunità immigrate alle quali è dedicata un’intera rassegna di appuntamenti culinari, musicali e sportivi nel quartiere più multietnico di Torino, San Salvario. Ma non si dimentica nemmeno chi alla festa non potrà partecipare: i rifugiati siriani coinvolti nel progetto Soup for Syria in Libano, o i detenuti del carcere delle Vallette che inaugurano il loro ristorante con un «terzo tempo» speciale, animato dallo chef Salvatore Toscano e dal rugbista Martin Castrogiovanni.

Tutto quello che accade nei giorni della manifestazione ha un minimo comune denominatore. L’idea che il cibo di qualità sia un diritto di tutti e che affermarlo non significhi essere ipocriti, né coltivare un’Arcadia di utopie luddiste. Nemmeno in tempo di crisi, anzi soprattutto perché la crisi non diventi una scusa per chi vorrebbe riservare la qualità a pochi e lasciare a tutti gli altri un’alimentazione povera e malsana, magari condita dalla pornografia gastronomica dei programmi televisivi e dal loro chiacchiericcio per food nerd.

Una curiosa coincidenza della storia ha voluto far sì che tocchi proprio alla ex capitale industriale d’Italia il compito di ospitare un evento dove si celebra l’orgoglio della terra. Se cinquant’anni fa erano gli ex contadini approdati alla catena di montaggio a sfilare per le vie di Torino, venerdì lo faranno invece i contadini che hanno ritrovato, ciascuno a suo modo, una ragione per voler bene alla terra. E che suggeriscono a tutto il mondo una via d’uscita dalla crisi.

*SloowFood