Secondo un certo scenario, costruito a partire da alcune intercettazioni dei Ros, alla cricca di Salvatore Buzzi avrebbero fatto comodo le occupazioni dei movimenti per il diritto all’abitare. Tanto che, stando alla ricostruzione degli inquirenti, il presidente della coop 29 giugno e i suoi sodali si riproponevano nel luglio 2014 di contattare Andrea Alzetta, ex consigliere comunale di Action, per convincerlo a non cedere all’imminente sgombero dello stabile di via Tuscolana.

«Che qualcuno pensasse di speculare sui residence sicuramente sarà vero ma quello a cui si riferisce l’informativa dei Ros è un edificio occupato e non un residence, perciò non produce alcun profitto per nessuno, perché non vi è alcun finanziamento su cui puntare», smentisce Alzetta. Che si riserva di querelare certi giornali «che capovolgono la realtà e gettano fango sulle vere vittime di un sistema criminale che ha sottratto risorse al welfare, sovrapponendo l’illegalità delle occupazioni per bisogno e necessità all’illegalità di Mafia capitale».

Lei conosceva Buzzi. È mai venuto a parlarle di occupazioni?

Non solo lo conoscevo, ma da consigliere comunale ho difeso e aiutato la coop 29 giugno, come quelle che si occupano di soggetti svantaggiati, quando all’inizio della consiliatura l’allora sindaco Alemanno voleva sostituirli con le cooperative della sua area. In altri casi invece mi scontrai ferocemente con Buzzi, come quando si mise insieme all’Aiab e a Integra, cooperativa vicina a Fabio Rampelli, per vincere l’appalto per la Città dell’altra economia. Ma io sono forse uno dei pochi che da Buzzi non ha avuto un euro per la campagna elettorale. Buzzi però effettivamente venne a parlarmi, quando girava voce che lo stabile di via Tuscolana sarebbe stato sgomberato, dicendomi che lo avevano incaricato di occuparsi dell’assistenza alloggiativa delle famiglie sotto sgombero, ma io gli risposi che non ci sarebbe stato alcuno sgombero perché avevamo un accordo che ci permetteva di restare.

Un accordo con chi?

Quell’edificio fa parte della trattativa pubblica e trasparente tra movimenti, comune e Regione Lazio per realizzare uno studentato in collaborazione con l’Università La Sapienza. Non un residence. Sia chiaro che nelle occupazioni il proprietario non viene mai risarcito, se non in sede legale. In un solo caso, negli stabili requisiti da Sandro Medici, si costituì un piccolo fondo risarcitorio ma pagato dagli stessi inquilini. Un “rimborso” che va dai 150 ai 250 euro al mese, per appartamenti affittati di solito anche a mille euro.

Ma secondo la ricostruzione degli inquirenti le occupazioni erano perfino funzionali a chi speculava sull’emergenza abitativa. D’altronde con la debacle del mercato immobiliare tanti stabili rimangono vuoti e a qualche costruttore può far comodo il “risarcimento”.

Abbiamo denunciato tante volte le cosiddette occupazioni bianche ma erano redditizie durante il boom economico degli anni ’60, non ora che i costruttori non pagano nemmeno l’Imu sugli stabili invenduti. Se così fosse, non ci denuncerebbero ogni volta. Altra storia sono i residence, ma non ci riguardano. Semmai, come nel caso di via Castrense, lo stabile occupato è stato trasformato in Centro di assistenza domiciliare temporanea, attraverso un contrattazione con il comune e con un minimo rimborso per il proprietario Vaselli. Ma Action ha sempre sostenuto che la via d’uscita alla mancanza di alloggi popolari sta nell’acquisto al prezzo di costo da parte del comune dei fabbricati invenduti e dei palazzi occupati. Sarebbe anche un modo per risarcire la città ferita dalla speculazione immobiliare.

Perché siete sempre stati contrari al “buono casa” che invece l’attuale assessora Danese vorrebbe estendere il più possibile considerandolo un efficace strumento e un buon antidoto a pericoli del genere?

Per due motivi: perché il meccanismo di rimborso del canone d’affitto funziona talmente male che spesso le famiglie vanno sotto sfratto per morosità perché non ottengono i soldi dal comune, e perché gli stessi proprietari non si fidano e dunque non danno in locazione le abitazioni con il buono casa.

Lei è stato il primo eletto che per effetto della legge Severino, quando ottenne il secondo mandato da consigliere, non ha potuto rivestire la carica…

Appunto. Ho centinaia di accuse penali a causa delle mie lotte, mi hanno accusato di tutti i reati, ma nessuno ha mai nemmeno ipotizzato che io abbia intascato un euro.

I movimenti romani si divisero molto quando Action decise di candidarla, con una parte che preferiva non sporcarsi le mani rimanendo fuori dalle amministrazioni. Col senno di poi, non sarebbe stato meglio sottrarsi al calderone che vorrebbe tutti nella stessa mangiatoia?

No. È esattamente quello che qualcuno vorrebbe far credere, che tutti abbiano “munto la mucca”. Ma Buzzi ha cominciato a fare soldi con la gestione commissariale. E mica lo abbiamo chiesto noi il piano straordinario per i rom che è costato 30 milioni di euro e che non era di competenza del consiglio comunale ma della prefettura. Io come tutti i consiglieri non sono mai riuscito nemmeno a vedere i bilanci, per capire come erano stati spesi quei soldi.

Dunque non si rimprovera niente, anche oggi ripercorrerebbe la stessa strada?

Sì, penso sia ancora l’unico terreno possibile, e ce lo dimostrano Podemos, Syriza o lo Sinn Fein. L’unico strumento di cambiamento e io mi auguro che la Coalizione sociale vada in questa direzione. La scommessa è di trasformare le elaborazioni sociali del territorio in una proposta politica con ambizioni elettorali per un nuovo modello di società. È un tema che si pone anche con una certa urgenza: dappertutto ci sono movimenti che si accollano la responsabilità di costruire una prospettiva politica, solo in Italia siamo fermi alla litigiosità degli anni ’70. Col risultato di una frammentazione totale.