Puppeteer, appena uscito per Playstation 3, non è solo un bellissimo e unico videogioco, ma è teatro. Il sogno del teatro dove chi gioca è regista, pubblico e attore di una rappresentazione virtuale in forma di platform che meraviglia e stupisce ogni minuto con una tempesta di climax poetici, ludici e pittorici. Muoviamo Kutaro, un bambino trasformato in burattino da un mostro-orso demoniaco e tutta l’azione del videogame si svolge su un palcoscenico, di cui sono sempre visibili le quinte.

Sentiamo i commenti del pubblico, percepiamo la presenza dei musicisti che stanno suonando nell’orchestra, ascoltiamo i movimenti meccanici degli scenari che si trasformano in continuazione per comporre panorami sempre diversi che trascorrono dalla bellezza macabra di manieri lunari alla liquida e oscura trasparenza di abissali fondali marittimi. La commedia avventurosa di Kutaro, armato di forbici magiche, è stata diretta e inventata da Gavin Moore con il leggendario team nipponico dei Japan Sudio di Sony. Lo abbiamo incontrato a Colonia, durante la Gamescom, dove ci ha detto di avere creato Puppeteer per tornare a vedere la passione e lo stupore sul viso del piccolo figlio, annoiato dalla monotonia di molti videogame.

Come sei riuscito a realizzare qualcosa che riaccendesse la passione di tuo figlio per i videogiochi?

Abbiamo tentato di creare qualcosa che potesse essere il più folle possibile! Nel gioco tutto cambia e si trasforma in continuazione, ma soprattutto volevamo divertirci con il nostro lavoro, continuare a meravigliarci. Mio figlio lo provava e gli piaceva, il team di sviluppo era entusiasta ed esilarato, quindi era come se stessimo scherzando e giocando, spassandocela con la nostra creatività invece di lavorare per sviluppare seriamente un videogame, e avevamo la sensazione di potere fare tutto ciò che volevamo.

L’artificio del teatro è evidente in Puppeteer

Volevamo che il fatto che l’azione si svolge sempre sul palco di un teatro fosse inequivocabile, per questo gli scenari devono apparire fittizi, disegnati a mano o costruiti. Volevamo che si intuisse che stavamo cercando di essere realisti ma che fosse riconoscibile che tutto è finto. Mentre gli scenari mutano si possono vedere le funi e gli ingranaggi che causano il cambiamento. Inoltre un altro elemento fondamentale è che il teatro è qualcosa di vivo, quindi si deve percepire il pubblico e l’orchestra. La gente che segue lo spettacolo in sala reagisce in maniera diversa in base all’abilità del giocatore. I nostri non sono personaggi, li consideriamo attori e talvolta possono dimenticarsi una battuta o interagire con il pubblico. È vero si tratta di un gioco, ma i videogame sono molto vicini al teatro, forse più che al cinema, perché chi videogioca è come se muovesse le corde invisibili di marionette virtuali.

Il suo rapporto con il teatro?

Sebbene adesso viva e lavori in Giappone sono nato e cresciuto in Inghilterra e mi ricordo che da bambino, a Natale, andavo a vedere le pantomime con i miei genitori. La pantomima è qualcosa di molto inglese, è una forma di teatro popolare nella quale gli attori hanno una formazione classica, tuttavia interagiscono spesso con il pubblico. Ad esempio se c’è l’eroe sul palco e il cattivo gli si sta avvicinando alle spalle i bambini del pubblico gli gridano «attento!», così lui si gira e può affrontarlo. Poi ho seguito per anni il teatro più contemporaneo e underground recitato in piccole sale. Quando abbiamo deciso di fare Puppeteer ho visto molto teatro giapponese kabuki, ma anche tanti musical o rappresentazioni di Shakespeare. Ho cercato di assistere a ogni forma di teatro possibile per capire il suo funzionamento e includerla nel gioco.

Le forbici che utilizza il burattino Kutaro rappresentano la sua ribellione contro il controllo «fatale» del burattinaio?

È proprio così e la cosa buffa è che quella delle forbici è stata la prima idea che ho avuto. L’eroe ha bisogno di un’arma ma egli è un burattino, quindi mi sono chiesto quale fosse l’arma migliore per uno di essi. Mi è sembrato che la forbice fosse l’unica risposta. Inoltre un’altra cosa meravigliosa di questo oggetto è che tutto il mondo lo conosce e lo usa. Può tagliare in linea retta per dividere o può tagliare delle forme, ha un suono unico. Quando giocate potrete sentire «snips, snips, snips» ma controllerete il taglio e potete creare il vostro ritmo o il vostro suono.
I personaggi dei videogame sono destinati ad essere controllati dal giocatore, non possono mai andare contro la sua volontà.
Questo è il punto, in Puppeteer, e non solo perché nel gioco tutti cercano di controllare e di usare Kutaro. Alla fine quello che ha più controllo sulle sue azioni è proprio il giocatore, e da questo fato egli non può fuggire, finché il gioco non sarà finito. Solo completando tutto il videogame potremo restituire a Kutaro la sua libertà.

Videogioca?

Lavoro nell’industria dei videogiochi da 21 anni, quindi è il mio lavoro inventarli ma è una mia passione giocarli. Finisco tardi di lavorare e quando torno a casa magari la mia famiglia è già a letto e io mi metto a giocare fino a notte fonda. Videogioco a tutto.

Ha giocato a «The Last of Us», uno dei videogame più riusciti di questa generazione di console?

Sì, l’ho finito tre volte. È stupefacente. Sotto ogni aspetto, dalla trama alla musica.

Ma tuo figlio ti ha visto mentre lo giocavi? È un videogame per adulti molto cupo e violento…

Talvolta si «infiltrava» e mi spiava di nascosto nel mio studio! Ma l’ho trovata una cosa interessante. Gli piacciono le storie, come a tutti i bambini. Quindi non era interessato alle meccaniche di gioco ma solo a quello che stava succedendo ai personaggi.

Il suo rapporto con il cinema?

Sono stato molto influenzato dai Monthy Python e dai primi film di Terry Gilliam, come I Banditi del Tempo. Il fatto che raccontasse di viaggi nel tempo gli ha consentito una continua invenzione di situazioni. Poi c’è il Barone di Munchausen, una splendida follia che per me è stata una vera fonte di ispirazione. Invento videogiochi e intendo creare un mondo fantastico dove io, come demiurgo, posso fare tutto ciò che voglio. Ecco da dove nasce Puppeteer. Amo molto anche il cinema giapponese e uno dei miei film preferiti di tutti i tempi è Hana-Bi. È l’unico film che mi abbia fatto piangere. Il modo in cui Kitano Takeshi utilizza i silenzi è una vetta artistica e poetica della narrazione.