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Álvaro Enrigue sulle piste di Geronimo

Álvaro Enrigue sulle piste di Geronimo

Scrittori messicani «Adesso mi arrendo, e questo è tutto», da Feltrinelli

Pubblicato circa 3 anni faEdizione del 18 luglio 2021

Il marketing editoriale allestito per il nuovo romanzo di Álvaro Enrigue lo suggerisce al pubblico italiano come un romanzo storico imperniato sulla vita del capo indiano Geronimo, cui si attribuisce anche la frase citata nel titolo: Adesso mi arrendo e questo è tutto (traduzione di Pino Cacucci, Feltrinelli, pp. 428, € 22,00). La narrazione è anche collegata a un viaggio dell’autore nelle regioni dove per quasi tre secoli si svolsero le terribili guerre che contrapposero prima i messicani e poi gli statunitensi al popolo degli Apaches

Se questo è senza dubbio l’asse portante del libro e Geronimo – con i suoi diversi nomi ne è il protagonista– la ricchezza del libro concepito dallo scrittore messicano non si esaurisce qui. Se non altro perché la relazione con la storia non si costruisce secondo una cronologia lineare, bensì attraverso una moltiplicazione di punti di vista temporali, che si sviluppano a partire dall’immersione fisica nella vasta regione, la Apachería, dove visse Geronimo con la sua gente.

Segnata dalla violenza e dalla guerra, la vita di Geronimo si radicò in effetti in uno spazio che fu prima il Grande Nord del Messico, poi il Sud-Ovest degli Stati Uniti, ed è oggi marcato da una delle frontiere più sorvegliate e sanguinose del mondo. Quello spazio fu abitato dalle origini e per un tempo lunghissimo da popoli che non riuscivano nemmeno a immaginare confini e limiti, tanto che per disegnarli e imporli fu necessario eliminarli con ogni mezzo possibile.
Le origini di quei segni artificiali sulla mappa sono impregnati del sangue dei popoli originari del continente, gli Apaches, gli Yaqui, i Rarámuri, e tutti coloro che definiamo genericamente come «indiani». Enrigue segue appunto questa linea di sangue in un arco temporale che va dai primi dell’Ottocento all’inizio del Novecento, affrontando quella che Juan Villoro ha definito la «vasta operazione narrativa» della frontiera tra Messico e Stati Uniti.

L’ampiezza degli spazi e la complessità della storia richiedono un intreccio di fili narrativi e di generi letterari diversi che si inseguono nelle pagine del romanzo: il viaggio dell’autore con la sua famiglia ha i tratti del saggio e il respiro della riflessione; il racconto del rapimento della donna bianca – tema cruciale di tanta narrativa americana – e della successiva ricerca da parte di uno sgangherato plotone guidato dal capitano Zuloaga, si svolge con il piglio dei migliori romanzi d’avventura, mentre nella parte chiamata «Album» una serie di testimoni ricorda gli incontri con Geronimo, con una focalizzazione dispersa in cui si inseguono ricordi e fantasmi.

Il romanzo storico diventa così anche molto altro, un libro sulla frontiera quando quella frontiera ancora non esisteva: Álvaro Enrigue lo costruisce in modo da far specchiare i confini del passato con quelli contemporanei, permettendoci di capire come quella linea sia ancora una «ferita aperta» dove per sopravvivere, come diceva Gloria Anzaldúa, «you must live sin fronteras / be a crossroads».

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